IL DIO TRIBALE DI TRUMP (E DI MELONI)
di Gilberto Scquizzato.
Abbiamo sentito il nuovo Imperatore (non del mondo ma dell’Occidente) attribuire all’intervento divino il provvidenziale evento della sua mancata uccisione da parte dell’attentatore che lo prese di mira in Pennsylvania il 14 luglio scorso.
Questa autoinvestitura a uomo della Provvidenza predestinato a grandi imprese salvifiche per il suo popolo per noi italiani non è una novità. Esattamente un secolo fa, noi l’uomo della Provvidenza l’abbiamo già avuto: e sappiamo con quali disastrose, tragiche conseguenze.
È peró importante che riflettiamo su questa nefasta consuetudine perseguita da troppi uomini e donne di potere di tirare ancora in ballo la religione
A) per consacrare il proprio ruolo apicale ai vertici dello stato
B) per autonominarsi come difensori della (loro) religione (da loro) indiscutibilmente considerata come la vera religione.
Anche se siamo nel 2025, non é solo Trump infatti ad appellarsi alla consacrazione divina e a usare la religione per fini di potere: la commistione fra religione e potere, tre secoli dopo nascita dell’Illuminismo, è ancora tremendamente diffusa e praticata nel mondo. Basta citare gli integralisti islamici, il fondamentalismo della destra ipersionista israeliana, la pervasività dell’islam nello stato iraniano e nel regime talebano, il suprematismo indù che sorregge il potere di Modi in India.
Quello che sconcerta è la sopravvivenza di questo uso della religione in Occidente, dove sovranisti e nazionalisti si professano difensori del cristianesimo contro l’aggressività dell’Islam importato dai migranti.
Per la verità, negli USA é la stessa costituzione a collocare il teismo (non il cristianesimo) alla base dell’edificio sociale e statale. Che il Dio in questione sia quello cristiano è dato per scontato (il Presidente giura sulla Bibbia) anche se a dir il vero accanto al Dio protestante dei Padri Pellegrini dobbiamo sempre riconoscere l’ombra del Dio dei Massoni, veri artefici dell’istituzione della statualità americana. Per noi italiani il paradosso consiste invece nell’autoinvestitura a uomo della Provvidenza da parte del notoriamente ateo (e anticlericale) Mussolini che inventó l’ipocrita “Dio, Patria, Famiglia” per comprarsi con il Concordato del ’29 l’ interessata e calcolata acquiescenza della Chiesa Cattolica.
Ma in un caso come nell’altro (anzi in tutti i casi di commistione tra politica e religione) quello che dobbiamo aver sempre chiaro é che il Dio dal quale il potere si sente (si proclama) investito è il dio tribale dell’antichità, non quello dell’uomo di Narareth.
TRIBALE, cioè nazionale. Esplicito in questo il Duce, che legó il termine Dio alle parole Patria e Famiglia. Patria per dire nazione, cioè la comunità dei nati in questo territorio; Famiglia per evocare i Lari del clan, cioè della Tribù.
Quello di Trump (e quello di Meloni) é ancora il dio tribale arcaico che non ha nulla a che fare con il dio di Gesù di Nazareth, anche se lo sprovveduto e poco esperto di catechismo cattolico Salvini agita pateticamente nei suoi comizi rosario e vangelo.
Un dio tribale, quello di Trump, che la vescova della chiesa episcopale americana ha confessato proprio davanti al neo Presidente investito da appena 24 ore, contrapponendogli il Dio di Gesù di Nazareth per nulla disponibile a benedire le brutali politiche xenofobe e anti lgbt di Trump. Un doveroso atto di chiarezza da parte della vescova Budde, non un clamoroso e temerario atto di coraggio: il minimo sindacale che si richiede all’autorità di una chiesa cristiana e che meriterebbe di essere imitato dai tanti vescovi cattolici italiani.
In questo periodo così critico è travagliato della storia europea, con il Presidente USA che farà di tutto per disgregare l’Unione, noi europei abbiamo perció qualcosa da rivendicare e da difendere con orgoglio: la laicità dello stato.
Mentre gli USA persistono a considerarsi (come Israele) la nazione eletta da Dio che abita nella (nuova) Terra Promessa, noi europei ci siamo da tempo svincolati dalla sudditanza a un dio nazionale, cioè tribale, per assumerci la responsabilità di gestire il nostro presente e progettare il nostro futuro senza ricorrere ai vincoli di una religione di stato, riconoscendo invece la superiorità dello stato laico come garanzia del pluralismo in ambito non solo culturale ma anche religioso.
Perció possiamo a ragione affermare che, benchè più forti e più ricchi, sotto questo profilo gli USA sono molto arretrati e che Trump, autoinvestendosi di un mandato divino, li riporta ai tempi delle più antiche monarchie, secoli e millenni prima di Cristo.
Ugualmente retrograda è dunque la vassallo Giorgia che, dall’angolino in cui l’hanno relegata insieme a Milei nella cerimonia dell’investitura di Trump, si spella le mani (credendo di difendere i valori della cristianità) quando il tycoon-imperatore circondato dai super ricchi della terra fa i suoi beceri proclami anti migranti e anti lgbt.
L’americana più moderna si è dimostrata la vescova che non ha avuto soggezione dell’imperatore muskizzato e ha ricordato che quello di Gesù di Nazareth non è un dio tribale ma esercita la sua preferenza per i vinti della terra di ogni etnia e per coloro che vivono con coraggio la propria diversità rispetto agli stantii stereotipi sessuali di una religiosità arcaica e repressiva.
Teniamocela cara, è con orgoglio, la laicità dello stato europeo.
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