Il Dio che non è “io”. Decostruire l’immaginario del potere
Valerio Gigante 06/09/2024, 10:50
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 14/09/2024
Da Senofane di Colofone (VI-V sec. a. C.) a Feuerbach (e a Marx e a Nietsche), la filosofia ha spesso rilevato che, quando pensiamo Dio, tendiamo a proiettargli le nostre caratteristiche umane. Ciascuno di noi immagina Dio con le caratteristiche che sono proprie della propria cultura, del proprio vissuto, delle proprie proiezioni e aspettative. Ma poi c’è una istituzione, la Chiesa (sarebbe meglio dire, le religioni, ma alle nostre latitudini l’immagine di Dio è soprattutto il prodotto del magistero cattolico) che nei secoli ha contribuito in maniera decisiva alla formazione di un certo immaginario di Dio nel senso comune e nella cultura dominante.
Ecco perché, sosteneva il saggista e teologo Augusto Cavadi nel suo libro (2009) Il Dio dei mafiosi, non c’è nulla di strano che i mafiosi si rappresentino un Dio ‘padrino’ piuttosto che ‘padre’. O che, aggiungiamo noi, un dittatore se lo rappresenti come giudice feroce e implacabile; o un missionario come un padre buono e misericordioso.
In un convegno organizzato nel 2005 da Adista sul rapporto tra Chiesa e mafia, il magistrato Roberto Scarpinato (oggi senatore per i 5 Stelle), partiva dalla sua esperienza con assassini e mafiosi per domandarsi come essi potessero sentire le proprie azioni e il proprio modo di vivere in perfetta armonia con la propria fede, che era (o appariva) radicata e profonda. Del resto, chiosava Scarpinato, il dittatore Pinochet ha sempre dichiarato di essere un buon cattolico, di essere in pace con se stesso e con Dio e di aver operato per il bene della propria patria. Lo stesso i generali argentini, che perseguitarono e uccisero migliaia e migliaia di persone, con il consenso e il supporto di una buona parte della gerarchia cattolica del Paese.
Certo, rilevava Scarpinato «la storia insegna che le giunte militari argentine, brasiliane e cilene furono il braccio armato di borghesie latinoamericane che non hanno esitato a fare ricorso al genocidio di massa per difendere il sistema di privilegi che veniva messo in pericolo dalle rivendicazioni popolari». Per questo motivo non è stato possibile, o è stato molto difficile, processare questi efferati criminali, «perché processare loro è come processare un’intera parte della società latinoamericana». Resta però il fatto che tanto le vittime quanto i carnefici hanno sempre pregato e pregano Dio, e si sentano tutti in pace con se stessi.
Scarpinato arrivava a sanare questa contraddizione teorizzando che il cattolicesimo nascondesse un politeismo occulto. Ossia che vittime e carnefici non pregano effettivamente lo stesso Dio, anche se pensano di farlo. Pregano ciascuno un Dio diverso. E «questo “miracolo” della moltiplicazione di Dio, della coesistenza di più Dio nella stessa Chiesa, avviene grazie al fatto che nella Chiesa Cattolica il rapporto tra Dio e il fedele è gestito da un mediatore culturale: un sacerdote, un prelato. Ogni strato sociale, ogni segmento della società, ogni tribù sociale esprime dal proprio interno culturale, sociale, il proprio mediatore culturale con Dio, che dunque è portatore della stessa cultura, della stessa visione della vita dell’ambiente che lo ha espresso. Esiste così un Dio dei potenti, e un Dio degli impotenti. Un Dio dei mafiosi, e un Dio degli antimafiosi. Un Dio dei dittatori, e un Dio degli oppressi».
Su questa scia, nel 2012 Cavadi si interrogava (in un libro intitolato Il Dio dei leghisti) sull’immagine di Dio proposta dalla propaganda leghista. È si chiedeva se fosse stata la tradizione cattolica ad aver prodotto l’immaginario leghista o la Lega ad aver manipolato la dottrina cattolica. Più probabilmente, ipotizzava, era stato un mix prodotto dall’incontro del cattolicesimo mediterraneo tradizionalista con l’egoismo piccolo-borghese ipermoderno a costruire l’infernale miscela infernale catto-leghista.
Del resto, spiegava nel suo libro Cavadi, il codice culturale leghista – analizzato con rigore, dalla concezione antropologica “padana” alla concezione dello Stato e della società – e le idee portanti in materia religiosa sono «del tutto compatibili con una lettura istituzionale, moralistica, moderata e identitaria del cristianesimo».
Il nodo, in ultima analisi, è teologico. E sta nella convinzione, radicata nella Chiesa sin dal periodo costantiniano in maniera strutturale (ma anche precedentemente, nella fase degli apologeti cattolici che rivendicavano la propria visione “integrale” della vita e della storia, contrapposta a quella pagana), di essere depositari della verità integrale sull’uomo, sul cosmo e sulla storia e di avere il diritto e anzi il dovere di “convertire” alla propria dottrina, alla propria visione, alla propria organizzazione l’intera umanità. Proporre una certa immagine di Dio è funzionale a questo obiettivo.
Il rapporto della Chiesa con il potere sta dentro questo quadro. Questo “scandalo” ha portato la Chiesa a ostentare e propagandare in ogni forma la propria volontà di non scendere mai a compromessi con il mondo; di fatto però poi questi compromessi li ha sempre voluti, cercati e accettati quando si trattava di mantenere il proprio legame organico con il potere secolare. Per cui nei secoli la Chiesa è andata a braccetto con il potere schiavistico dell’impero romano, con il modo di produzione feudale, con la società borghese in tutte le sue espressioni, dal colonialismo all’imperialismo, passando per le guerra, la corruzione, la mafia, finanche le dittature e i fascismi, se era il caso. E a tutti questi sistemi ha proposto (più spesso, finché ha potuto, imposto) la propria idea di Dio funzionale alle necessità storiche del momento o a combattere i nemici della fede e della propria autorità ritenuti più perniciosi, come il comunismo o il laicismo.
Ma allora, qual è l’alternativa a questo Dio del potere, dell’oppressione, dell’ingiustizia sociale? Per alcuni, il Dio di Gesù, quello testimoniato, più che raccontato o definito, dal Gesù storico, piuttosto che dal Cristo insegnato dalla tradizione ecclesiastica. Il Dio di Gesù si configurerebbe come un Dio dei senza potere, tenero, accogliente e sollecito nei confronti di tutto ciò che realizza agape, relazione, fraternità, eguaglianza, pace, solidarietà, giustizia. In una parola, amore.
Per altri, teologia post-teista in primis, il processo da fare è ancora più radicale e – alla luce delle conoscenze scientifiche sulla fisica e il cosmo che vanno ormai necessariamente armonizzate con la fede – non c’è più bisogno di un Dio personale e creatore; è necessario pertanto superare le grandi narrazioni mitiche, la dottrina patriarcale che gli attribuisce tutte le qualità positive della “persona umana” elevate al massimo grado: onnipotente, onnisciente, onnipresente, sommo bene contrapposto al male intrinseco alla realtà. Insomma, per la teologia post-teista più che un Dio va teorizzata l’esistenza di un’energia divina; una forza-relazione, piuttosto che una persona. Questa posizione mette in crisi l’idea che vi sia qualcuno che ci ama e che dà vita, che precede e accompagna la nostra esistenza; per i critici del post teismo se perdiamo in Dio il carattere personale di un “Tu” con cui abbiamo relazione di conoscenza, sim-patia (sentire-soffrire insieme), dia-logo, ascolto ed espressione, perdiamo semplicemente Dio, tutto Dio. Se Dio non fosse persona, non avrebbe alcun senso l’atteggiamento umano di fede, l’affidamento a Lui, la fiducia nella sua possibilità di trasformare o riscattare il male. E se Dio non fosse persona, non avrebbe senso preghiera umana.
D’altra parte, secondo la fisica moderna (relatività ristretta e generale) lo spazio e il tempo sono una sola entità: lo spaziotempo. Dove le due dimensioni sono interconnesse e si influenzano reciprocamentela. La fisica quantistica insegna che la realtà dell’infinitamente piccolo ci sfugge, che possiamo lavorare solo su modelli di realtà, i quali non sono la realtà.
Ma se ci sfugge a tal punto la realtà da rappresentarla secondo coordinate (spazio e tempo) così diverse dalla nostra quotidiana percezione, tanto più inafferrabile sarà la realtà divina. Il che non vuol dire affatto desistere nella ricerca teologica. Soltanto, ci rende consapevoli che necessariamente la “Verità” di Dio, posto che sia un obiettivo perseguibile, è inscindibilmente legata alla “Via” e alla “Vita”.
Insomma, de-costruito necessariamente e inderogabilmente il Dio che non è Dio di ogni sistema di potere classista, opprimente, patriarcale, funzionale al mantenimento di determinati rapporti sociali, resta aperto il problema di quale Dio debba sostituire l’immagine tradizionale di Dio che ci ha accompagnato per millenni. Dio non va abrogato, semplicemente bisogna rinunciare a ogni pretesa di definirlo secondo le categorie del nostro orizzonte mentale e culturale. E non è detto affatto che Dio sia un “Io” come lo abbiamo sempre concepito. In questo senso, non resta – riprendendo una celebre formula di Claudio Napoleoni – che «cercare ancora».
Valerio Gigante è della redazione di Adista.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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