Padre Francesco, può un laico presiedere l’Eucaristia?
Questa potrebbe essere una domanda per papa Francesco, ma in realtà è una domanda per tutti, da dibattere in sinodalità. Magari da mettere sul tavolo del Sinodo. Una prima e rapida risposta sarebbe: no.
Ma da dove nasce la domanda?
Recentemente ho letto la testimonianza di un vescovo spagnolo in Africa che raccontava come nella sua vasta diocesi c’erano comunità che erano rimaste per anni e anni senza sacramenti di alcun tipo. È una testimonianza che mi ha colpito e che ho già citato per diverse questioni.
Questo è il testo a cui mi riferisco: “In circa un’ora siamo riusciti a raggiungere Koulou, a 13 km da Bossako. Ci accoglie una comunità di circa duecento persone. Celebriamo l’Eucaristia con fervore… Alla fine abbiamo dialogato per più di un’ora e lì mi hanno detto che da otto anni erano senza l’Eucaristia… L’ultimo prete che è passato, è stato p. Vianney nel 2016. Mi stringe il cuore, ma ascolterò questa stessa canzone nelle altre comunità. […] Quando siamo arrivati a Karabara, ci aspettava tutta la popolazione, circa duecentocinquanta, di cui 70 cattolici. Nessuno viene qui da fuori. Li ho sentiti raccontare la storia della loro cappella fondata nel 1960, quando i missionari venivano in bicicletta… Recitano a memoria l’elenco dei missionari che sono arrivati nel loro paese…, circa sette, cioè circa sette Eucaristie in 65 anni; ma ormai dal 2016 non viene più nessun padre, mi dicono”.
Qualche settimana fa mi sono “imbattuto” in un articolo del 2020, “Sulla presidenza dell’Eucaristia”, di Tomás Muro Ugalde nella rivista «Scriptorium Victoriense». E la prima domanda che ci si pone è proprio questa: se un laico possa presiedere l’Eucaristia. La risposta che ho dedotto dopo la lettura sarebbe questa: “è già stato fatto lungo tutta la storia della Chiesa, perché non farlo oggi in situazioni straordinarie”.
L’articolo passa in rassegna il pensiero di alcuni autori, rinomati teologi, che hanno approfondito l’argomento, giungendo alla conclusione che alle origini della Chiesa non esistevano ministri ordinati e che nel corso della storia l’Eucaristia e tutti i sacramenti si sono andati trasformando in materia di esclusiva competenza della gerarchia ecclesiastica. Se prima, all’inizio, il soggetto ecclesiale era la comunità stessa, presto esso si trasferisce nella gerarchia, creando un potere e una dipendenza che permangono fino ai giorni nostri. Così, attraverso i vari concili e fino al Vaticano II, la Chiesa è andata consolidando il potere dei ministri ordinati.
Il Concilio Vaticano II ritorna a rivendicare il ruolo del laicato nella vita della Chiesa. E oggi, il Sinodo che abbiamo davanti lo grida.
Non si tratta più di correre in aiuto di una carenza di vocazioni, ma di recuperare la comunità come soggetto ecclesiale e con essa la possibilità che coloro che presiedono questa comunità siano ritenuti idonei ad amministrare i sacramenti che sono la vita della Chiesa. In questo modo non si dovrebbero verificare casi come quello raccontato dal vescovo della diocesi africana, oppure le richieste della Chiesa in Amazzonia avrebbero la risposta che sollecitano.
Se c’è una cosa che Muro sostiene con forza nel suo articolo, è che senza l’Eucaristia la vita della Chiesa è molto difficile, il che ci porta a dire che la sopravvivenza di alcune comunità e della fede di alcune persone si conserva miracolosamente.
Come si legge nell’articolo di Muro, lungo la storia della Chiesa ci sono state molte volte e occasioni in cui persone qualificate sono state designate a presiedere l’Eucaristia, anche a nome del vescovo.
Dalla mano di alcuni autori aggiunge argomenti a favore, come quello del sacerdozio comune che si acquista mediante il battesimo.
In diversi paragrafi si ripete la figura dei “ministri straordinari”, cioè – capisco io – il fatto che, senza scontrarsi con il ministero presbiterale, persone di provata fede e con un ruolo rilevante nella comunità possono essere abilitate ad essere ministri di alcuni sacramenti, anche sacramenti specifici: l’Eucaristia, il Battesimo, il matrimonio…
In ultima analisi, questa è la richiesta di alcune Chiese in America Latina e in Africa e torniamo alla testimonianza dell’inizio. O guardiamo la realtà delle nostre diocesi oggi.
Un altro argomento che emerge è la presenza reale di Cristo nell’incontro della comunità: “dove due o più si riuniranno nel mio nome, io sarò presente”. Questo trasferisce, come capisco, il potere della consacrazione del pane e del vino alla Comunità riunita nel nome del Signore e non esclusivamente al prete officiante.
Nell’articolo ho trovato anche una proposta alternativa, la celebrazione della Cena del Signore, che sarebbe più simile alle celebrazioni delle chiese anglicane, protestanti, credo. La proposta prevede una celebrazione che prescinda dalle formule e dal copione della Messa e che sia “altra cosa”, ma che garantisca la presenza di Cristo Eucaristia in mezzo alla comunità. Sarebbe, potremmo dire, una celebrazione della Parola, che già abbiamo, con una consacrazione da parte della comunità, con il suo consenso e la sua accettazione.
La tesi in cui si inquadra tutta questa teoria della formazione dei non ordinati a presiedere l’Eucaristia è che l’Eucaristia riguarda l’intera comunità e non esclusivamente i soli ministri ordinati.
Ci ricordano come agli inizi della Chiesa non esistevano templi, chiese, la comunità si riuniva nelle case. Sarebbero i padroni di casa a presiedere le celebrazioni? E questi sarebbero laici!
Lo stesso rituale della messa che conosciamo ci suggerisce una concelebrazione di tutti i presenti, la cui espressione più semplice è l’“Amen” che viene detto in vari momenti.
Questa riflessione sulla presidenza dell’Eucaristia apre anche altri problemi, come l’amministrazione di altri sacramenti da parte di persone strettamente legate alla situazione: cioè, per esempio, le persone legate alla pastorale sanitaria non sarebbero adatte ad amministrare l’unzione degli infermi negli ospedali e nelle case di anziani?
Dietro tutte queste riflessioni, e ancor più oggi, alla base c’è la necessità che la Chiesa risponda alla sua missione di celebrare la fede in comunità, di celebrare l’Eucaristia come qualcosa di irrinunciabile nella vita della Chiesa, e per molte comunità oggi, e non solo nelle “terre di missione” (quali sono tutte), ma nella vecchia Europa, nella culla del cristianesimo, questa esigenza è già un dato di fatto.
E questa situazione ci porta a mettere sul tavolo del Sinodo il tema dei ministeri laicali come recupero di ciò che già c’era a suo tempo, ma soprattutto come risposta alla Chiesa del XXI secolo che ha bisogno di rendersi presente e spogliata di ogni retaggio medievale o tridentino.
Tutti gli autori concordano sull’abilitare ministri straordinari in situazioni straordinarie; la domanda forse oggi è se nel primo quarto del XXI secolo ci troviamo di fronte a situazioni straordinarie. Il racconto del vescovo missionario, le richieste di ordinazione di «viri probati» in Amazzonia, il calo di vocazioni al ministero, la richiesta di una revisione del ministero stesso, del celibato e dell’ordinazione di donne, la clandestinità in cui vivono i cristiani perseguitati…sono veramente necessarie ulteriori argomentazioni?
Un altro aspetto su cui gli autori concordano è la necessità di un’idoneità del candidato, anche di una formazione. Come minimo, deve essere un leader riconosciuto dalla comunità.
L’articolo non dimentica di esporre la posizione “ufficiale” della Chiesa su questo tema e lo fa attraverso il documento della sacra Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicato l’8 settembre 1983.
Questo documento comincia marcando le distanze tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio del Popolo di Dio, cioè dei laici. E questa differenza sta nella questione sacramentale, nell’esclusività dell’amministrazione di alcuni sacramenti da parte del sacerdozio ministeriale. E questa esclusività sarebbe sorretta dalla successione apostolica, che non è in mano alla comunità ma alla gerarchia.
L’argomentazione della Congregazione della Dottrina della Fede si conclude dicendo che il prete ha il carattere sacramentale, agisce «in persona Christi», non riceve questo potere dalla comunità e non può essere sostituito o delegare. Pertanto l’Eucaristia può essere presieduta e celebrata solo da un prete ordinato.
Come si concilia questo con tutte le argomentazioni storiche che ci dicono che all’inizio le cose non sono andate così?
E il documento come fa fronte alle situazioni straordinarie di mancanza di ministri? Dicendo che la Grazia di Dio supplisce all’assenza, purché vivano in comunione con la Chiesa (romana). E si conclude con la richiesta di chiedere più operai per la messe.
Anche se ho già inserito nel testo alcuni contributi personali, mi sembra opportuno aggiungere quanto segue.
Durante la mia appartenenza alla Chiesa, fin dall’infanzia, ho vissuto questo problema con molta calma e serenità. Mi è sempre stata garantita la possibilità di accedere all’Eucaristia domenicale.
È stato da quando ho aperto la mia mente alla realtà di altre comunità, prima in altri continenti, e più recentemente nelle città intorno a me, che ho potuto scoprire che non tutti possono andare a messa la domenica.
Questa realtà è diventata più scandalosa man mano che si conosceva più nel dettaglio la storia di cristiani perseguitati, grazie ad «Aiuto alla Chiesa che Soffre», o degli angoli del mondo dove ogni sette anni arriva un prete; o la storia di alcuni nostri popoli che hanno visto chiudere le loro chiese e doversi recare la domenica nel centro più grande della zona, o come in questi paesi si celebra una messa al mese e il resto sono celebrazioni della Parola.
Tutto ciò, oltre alle richieste per un ruolo più rilevante per le donne e i laici nella Chiesa, porta a chiedersi se non sia giunto il momento di apportare alcuni cambiamenti.
E tra questi cambiamenti ci sarebbero l’apertura dei ministeri ai laici e la riformulazione di un nuovo modello ministeriale. Cambiamenti a cui bisogna giungere senza paura, senza violenza, con speranza, con fede. Pertanto le mie domande sono: potrebbe un laico, una laica arrivare a presiedere l’Eucaristia? Vorrei che non fosse necessario, ma se lo fosse, perché no?
E permettetemi di fare ancora una domanda: cosa accadrebbe se oggi un vescovo, coraggioso aggiungerei, nell’ambito dei suoi poteri nella sua diocesi, facesse un passo avanti e cercasse soluzioni pratiche per garantire l’accesso ai sacramenti a tutti i suoi fedeli, formando consacrati e laici come le circostanze richiedono? Mi fermo qui.
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Articolo pubblicato il 24.04.2024 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI
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