CHI E’ GESU’
Ortensio da Spinetoli
Gesù è nato e vissuto nell’alveo del giudaismo, ma se ne distacca radicalmente, rompe con il culto, con il tempio, con la teologia e con l’ascesi giudaica. Alcuni suoi discepoli, i più qualificati, passano dalla sua parte con il loro bagaglio culturale e ideologico. Con loro Gesù ricupera alcuni tratti della dimensione spirituale, da cui per altro si era tenuto lontano e aveva anche contestato. Gesù è un profeta, non un sacerdote come dice Paolo, è originariamente un carpentiere, un comune operaio non un rabbi, né un dirigente della sinagoga che però frequenta. Non vuole aprire una scuola superiore, nè creare delle “dottrine”, ma segnalare un nuovo modo di convivere tra ebrei e pagani, samaritani e giudei, romani e greci, tutti componenti dell’unica famiglia dei figli di Dio. La sua è una rivoluzione appena abbozzata, la “buona notizia” da portare agli uomini era che il loro stato di subordinazione era finito. Questo è il suo programma “messianico”. I primi collaboratori sono operai, pescatori a cui non conferisce alcun potere, solo chiede di annunziare il vangelo del regno e di guarire gli uomini dalle loro infermità. Un’opera innanzitutto umanitaria. La comunità non è la sinagoga, ma la convocazione di un nuovo popolo in armonia con Dio e con se stesso, due cose inscindibili. La proposta di Gesù è lineare, ma immane e gigantesca; troppo grande per essere compresa dagli uomini che si sono messi al suo seguito e meno ancora dai dotti che verranno dopo, quali il rabbino Saulo o il “presbitero” Giovanni. LA TRASFORMAZIONE Gesù diventa Il Cristo dei vangeli e del nuovo Testamento, glorioso, potente e trionfante, il suo programma ha perso la carica iniziale a causa delle attenuanti e modifiche subite. I reali “poveri” sono diventati “i poveri di spirito”, gli umili, gli “affamati” sono quelli che attendono l’affermazione della “giustizia”, cioè il rinnovamento dei rapporti con Dio, ma soprattutto viene mutato lo statuto giuridico dei tempi di Gesù, viene stabilito il passaggio dalla classe operaia a quella sacerdotale con una reinterpretazione culturale dei suoi grandi gesti profetici, una modifica disastrosa per il senso della sua vita e della sua missione nel piano di Dio e della salvezza. L’esperienza di Gesù è riletta e riproposta alla luce di moduli culturali presenti nella Bibbia, nella tradizione giudaica, come nella religiosità di molti altri popoli: l’agnello pasquale, il “servo” sofferente, il capro espiatorio. Cambiano alcuni significati: La morte del profeta dissidente, ribelle diventa l’offerta, il sacrificio “richiesto” da Dio per sentirsi ripagato dai torti ricevuti dall’umanità. Gesù diventa il dono che il padre ha fatto agli uomini e poi subito viene a riprendersi, dopo che ha dato prova davanti a lui di ubbidienza e sottomissione, per cancellare l’insubordinazione di Adamo e dei suoi discendenti. Il suo messaggio (“Vi ho dato l’esempio, come ho fatto io fate anche voi”) viene sostituito da elementi della teologia giudaica e più tardi del sacramentarismo cristiano. Il tempio è ricostruito, l’altare dei sacrifici riprende il suo posto e l’accesso a Dio è demandato all’appropriazione dei “meriti” di Cristo. Gesù diventa il salvatore e il mediatore universale e i cristiani non hanno altro da fare che attingere, attraverso la partecipazione liturgica, soprattutto nel “sacrificio della messa”, dall’azione redentiva di Cristo. Percorso troppo comodo e perciò poco o affatto efficace. Il senso storico della morte di croce si perde nel nulla. Il punto culminante della reinterpretazione del movimento da lui posto in atto è la sua istituzionalizzazione. Gesù aveva voluto che i suoi seguaci realizzassero una fraternità in cui né troni, né dominazioni spadroneggiassero sul popolo credente. Giovanni non parla di “servizio”, ricorda la parabola della lavanda dei piedi, un rito inserito nello sfarzo delle celebrazioni della settimana santa, che ha perso tutto il suo profondo significato. La comunità cristiana si organizza gerarchicamente appellandosi ai modelli circostanti, o a quello ellenistico o a quello giudaico. E’ una legittima evoluzione o una profonda involuzione? Il Gesù della storia è stato sostituito da un riformatore religioso, anzi da un essere calato dal cielo che fa la sua comparsa in mezzo agli uomini, riapre per tutti le porte del cielo e poi vi fa immediato ritorno. Tutto questo è teologismo, non la testimonianza di un vivente, ossia di un profeta scomodo che le autorità religiose e civili appena hanno conosciuto e appena hanno compreso i suoi progetti (libertà fraternità, eguaglianza) hanno subito giustiziato, per eliminare un pericoloso sovvertitore dell’ordinamento ingiustamente costituito, ma di cui loro godevano i benefici. L’hanno ucciso per loro, per il loro tornaconto, per la sicurezza del loro potere. LA DEVIAZIONE AVVENUTA L’originalità gesuana è perduta, la stessa immagine di Gesù è assorbita dai canoni della spiritualità giudaica. Il vecchio culto non viene abolito, ma riformato. Gesù aveva auspicato un’inversione di marcia nella storia umana, ma i suoi seguaci hanno continuato a ripetere ciò che egli ha detto e fatto, più che a portare avanti il programma di liberazione che egli aveva avviato. Non si pensa alle sofferenze apostoliche di Gesù, alle fatiche affrontate per instaurare il regno di Dio, fatiche circoscritte al suo tempo e alla sua persona, per questo incomplete. Bisogna che altri se ne accollino il peso, altrimenti la costruzione del regno si arresta. Dio è sempre all’opera, ma la costruzione avanza solo se l’uomo vi dà il proprio apporto. La volontà di Dio è da sempre e sempre in atto; è inutile invocarne il compimento; quella che è sempre e da sempre carente è la volontà dell’uomo, il contributo decisivo e insostituibile. La salvezza ritenuta come dono vale se destinata ad essere ragionevoli, non può non essere anche una onerosa conquista. Mettersi al suo seguito non significa riconoscere e rendere nota la sua testimonianza, ma cercare di farla propria e invitare a fare altrettanto. Egli è la “strada” per andare al Padre, occorre ripercorrerla lottando contro le ingiustizie e le iniquità, per instaurare un regime di fratellanza e di pace. Se è vero che molto è regalato dalla liberalità di Dio, è pur vero che molto è da compiere anche dall’uomo. L’imitazione di Cristo non è uno slogan ma il programma fondamentale dell’etica evangelica. Non lo si può accantonare senza perdere il diritto di ritenersi e dichiararsi cristiani. Il fermento portato da Gesù non è servito ad invertire il corso degli avvenimenti umani, piuttosto ha consacrato quello esistente: l’autorità viene da Dio, l’ubbidienza è una virtù anche se prestata malvolentieri, l’umiltà l’atteggiamento più consono con la vocazione cristiana e la vita dedicata al Signore rimane al di sopra di quella spesa per generare figli. La comunità cristiana ha indetto crociate contro gli “infedeli” e gli “eretici”, ma non ha partecipato a nessuna lotta di liberazione, ha piuttosto inflitto gli accessi al mondo infernale e tenuta l’umanità sempre in ansia davanti alla salvezza eterna. La fine della schiavitù, del colonialismo, dello sfruttamento operaio, il riconoscimento dei diritti e della dignità della donna non è avvenuto in forza delle iniziative dei missionari cristiani, ma il più delle volte contro di essi.
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