L’ULTIMO TESTIMONE VIVENTE DEL VATICANO II E’ TORNATO ALLA CASA DEL PADRE
Il bellissimo messaggio del card. Matteo Zuppi inviato al Vescovo di Ivrea, mons. Edoardo Aldo Cerrato, per le esequie di oggi pomeriggio di
- mons. Luigi Bettazzi.
Mi dispiace non potere essere presente. Non mi è possibile solo a causa di un impegno per la pace. Sono sicuro che Mons. Bettazzi, assetato di pace e giustizia e di convinta non violenza, mi avrebbe raccomandato di fare tutto “l’impossibile”. Ci aveva abituato alla sua presenza, solare, determinata, libera, evangelica, sempre in cammino, entusiasmante, piena di vita. Pur conoscendo bene il galateo ecclesiastico – educato com’era alla scuola di Nasalli Rocca e Lercaro – non ha mai smesso di portare con libertà il Vangelo ovunque, perché per tutti Gesù è venuto. E si è raccomandato piuttosto di andare a cercare, non di starcene fermi ad aspettare. È stato un Vescovo del Concilio Vaticano II. Non è mai entrato, né prima né dopo, nella folta schiera dei profeti di sventura, coloro che “non senza offesa” al successore di Pietro preferivano e preferiscono continuare ad usare le armi del rigore credendole indispensabili per difendere la verità e evocando improbabili periodi passati senza imparare dalla storia. Era libero perché amava Dio e la Chiesa. Cercava il dialogo non perché ambiguo, facile, ma proprio perché convinto della propria identità, senza ossessioni difensive che vedono il nemico dove non c’è e non lo riconoscono dove, invece, si annida. Ascoltava per rispondere e non parlare sopra. Comunicava la gioia di essere cristiano e annunciava la chiamata a tutti ad esserlo. Amabile, instancabile, gentile ma per niente affettato, scomodo, ironico, colto senza mai essere supponente, parlava della Chiesa e dei poveri perché la Chiesa è di tutti, ma specialmente dei poveri e perché “le ansie e gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. «La rivoluzione copernicana contenuta nella Gaudium et spes (non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità) e quella della Lumen gentium (non i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli) stentano ad affermarsi», ripeteva. Lui non ha smesso di sognare. «Il mio “sogno” è che ogni cristiano si renda conto della sua vocazione “missionaria”. «La gioia più grande? Essere prete», aggiungeva. Ebbe il premio Unesco per l’educazione alla pace, perché non si devono subire i violenti e perché la tendenza alla violenza è comune e porta a imbracciare l’arma mentre la non violenza interpone la diplomazia. Fin dagli anni Sessanta ha scommesso sui laici, «non secondo i propri interessi, ma secondo l’interesse dell’intero cosmo per contribuire non solo a mantenerlo in essere…ma anche a svilupparlo nell’interesse comune». Sì, ha chiesto a tutti noi, tutti, opportune et inopportune, di «essere discepolo che dà gioia», convinto che «il regno di Dio è l’umanità come Dio la vuole». Grazie don Luigi, benedizione con la tua lunga vita, perché non hai smesso di sognare e non ti sei stancato di farci vivere la primavera del Concilio. Grazie e continua a pregare per noi e con noi. In pace e con il sorriso.
Card. Matteo Zuppi
Arcivescovo di Bologna
LA CHIESA DI BETTAZZI
Cari amici,
Il bello di una lunga vita è che molti, in tempi e in luoghi diversi, ne godono i frutti, quando quella vita è ricca di valori civili, di ispirazioni religiose e traboccante di amore. Così è stato della vita di Luigi Bettazzi, che è stato davvero un vescovo della Chiesa di tutti, e della Chiesa dei poveri, e soprattutto dei pacifici e degli assetati di giustizia. E così egli ha seminato e lasciato ricordi straordinari in tanti e in molte occasioni per quasi 100 anni.
C’è chi lo ricorda, giovane e anche bello, fraterno e accogliente, maestro ed amico, come Assistente ecclesiastico della FUCI, la Federazione degli universitari cattolici italiani, famosa per aver formato personalità straordinarie e preziosi protagonisti della prima Italia repubblicana, a cominciare da Moro.
C’è chi lo ricorda come vescovo ausiliare di Bologna in quel tempo magico che visse la Chiesa bolognese, la Chiesa del cardinale Lercaro, di don Dossetti, dell’ “Avvenire d’Italia”, del Centro di studi religiosi di Pino Alberigo e Paolo Prodi. A quel titolo fu tra i più giovani vescovi del Vaticano II: e lì parlò per la pace, ed ebbe il coraggio di levarsi in san Pietro per chiedere ai Padri conciliari, contro ogni prudenza ecclesiastica, di procedere alla canonizzazione conciliare di papa Giovanni XXIII, e farlo santo per acclamazione, senza miracoli e senza processi canonici, perché un papa così ancora non si era mai visto, e proprio quel Concilio ne era il lascito più prezioso per la Chiesa e per il mondo.
Finito il Concilio mons. Bettazzi fu ancora accanto a Lercaro, prima che l’arcivescovo bolognese fosse deposto per aver rivendicato la profezia della Chiesa, piuttosto che la neutralità, contro la guerra del Vietnam.
E poi fu vescovo di Ivrea, dove fu mandato per i suoi meriti, ma anche per lasciare il posto a Bologna al cardinale Poma incaricato di normalizzare la Chiesa italiana dopo gli ardimenti del Concilio.
E chi, tra i compagni che furono con lui e con don Albino Bizzotto in quella sorta di staffetta per la pace che fu fatta nel 1992 per rompere l’assedio di Sarajevo durante la guerra jugoslava, non lo ricorda a proclamare che era possibile la pace tra serbi e bosniaci, , musulmani e cristiani, cattolici e ortodossi?
È stato un vescovo dei poveri e dei pacifici, degli intellettuali e dei piccoli, presidente di Pax Christi e militante di base quando c’era da lottare e testimoniare per la pace: e l’ultima volta lo ricordiamo a dire, rispondendo all’appello di Michele Santoro, che non è contro l’aggressione chi alla violenza oppone un’altra violenza, e che dalla guerra di Ucraina si doveva uscire con la diplomazia e mettendosi in mezzo ai contendenti per farli riconciliare nella pace.
In questo ricordo che ci consola all’ora della sua morte, vi inviamo i più cordiali saluti.
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
Nelle catacombe eravamo in 42, io ero l’unico italiano, ma poi ci siamo impegnati a far firmare ad altri e al Papa sono andate 500 firme di vescovi, e sarebbero state forse anche di più, se le avessimo cercate. La cosa importante è l’attenzione ai poveri e si diceva che il vescovo deve vivere più semplicemente, nelle abitazioni e mezzi di trasporto. Ma deve essere vicino ai poveri e ai lavoratori manuali, a quelli che soffrono e che sono in difficoltà, contro la tendenza che abbiamo ad essere vicini ai ricchi e potenti, che poi ci garantiscono.(Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e tra i primi firmatari del Patto delle Catacombe
Zuppi: “Promotore di pace e dialogo”
“Padre conciliare, promotore di pace e di dialogo con tutti”, così lo ricorda il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, in un messaggio in cui esprime al defunto vescovo “quel senso di gratitudine che si deve ai padri”. “Rendiamo grazie per la sua testimonianza – si apprestava a celebrare il 77° anniversario di ordinazione sacerdotale e il 60° di episcopato – e per il suo impegno per il Concilio vissuto con libertà e amore per la Chiesa”, afferma il porporato. “Il sorriso, la gentilezza, la fermezza, l’ironia, la capacità di leggere la storia e di portare il messaggio di pace sono stati i suoi tratti essenziali. Quegli stessi tratti che ci lascia come eredità preziosa per camminare al fianco degli uomini e delle donne del nostro tempo”. Di Bettazzi, il presidente della CEI ricorda e rinnova l’invito più volte rilanciato: “Dovremmo arrivare a farci tutti la mentalità di pace, mentre abbiamo tutti la mentalità della violenza. Dovremmo arrivare a far crescere anche nel popolo cristiano, direi prima di tutti in quello, la mentalità vera della pace contro ogni forma di violenza, come ha fatto Gesù”.
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