CENA FRA FRATELLI E SORELLE
· “Grazie a Dio, i Vangeli sono tutta, tutta un’altra cosa”. Scrive Michele Meschi ed io sono d’accordo con lui … “No, eminenza: lei cerca di difendere una tradizione inesistente, l’esatto contrario del VangeloNel 2021, in piena pandemia, al congresso eucaristico internazionale di Budapest il cardinale Onaiyekan avrebbe dichiarato: “La comunione non è per tutti”. E il suo pensiero confligge con le continue esortazioni di papa Francesco (“l’eucaristia è una medicina per i malati, non un premio per i sani”), con vari passaggi di “Amoris Laetitia”, con l’esegesi biblica e soprattutto col nucleo centrale del messaggio cristiano: il sovvertimento della giustizia nella misericordia liberatrice. Bisognerebbe riflettere proprio sul significato dell’eucaristia e sulla deriva culturale e teologica cui ha condotto il concetto (potenzialmente idolatrico, se mal interpretato) di transustanziazione. Il primo autore ad utilizzare il termine “transubstantiatio” fu Rolando Bandinelli, futuro papa Alessandro III. Successivamente fu ripreso da Tommaso d’Aquino (in particolare nel “De venerabili sacramentu altaris”) e dalla Scolastica, che ne delinearono con precisione il significato.Il Concilio di Trento puntò alla definizione dell’eucaristia come vera presenza reale di Cristo, e così anche le chiese vennero concepite in modo che fosse chiaro che il centro della vita liturgica e religiosa dei fedeli fosse il tabernacolo. Molto prima, nell’estate del 1263, un sacerdote boemo, Pietro da Praga, iniziò a dubitare della reale presenza di Gesù nell’ostia e nel vino consacrati. Percorrendo la via Cassia si fermò a pernottare a Bolsena, dove i dubbi di fede lo assalirono nuovamente. Secondo quanto tramandato dalla tradizione, celebrò messa in quel luogo e, al momento della consacrazione, l’ostia cominciò a sanguinare sul corporale.Urbano IV dichiarò la soprannaturalità dell’evento e, per ricordarlo, l’11 agosto 1264 estese a tutta la Chiesa la solennità chiamata Corpus Domini, nata nel 1247 nella diocesi di Liegi per celebrare la reale presenza di Cristo nell’eucaristia, in contrapposizione alle tesi di Berengario di Tours, secondo le quali la presenza eucaristica di Cristo non era reale, ma solo simbolica. Per custodire la reliquia del corporale macchiato di sangue venne edificato, a partire dal 1290, il duomo di Orvieto. Per rispetto della sensibilità di alcuni credenti (anche se la Chiesa non impone tali presunti eventi come verità di fede), si può glissare sull’esistenza di Serratia marcescens, un batterio Gram negativo della famiglia degli enterobatteri, così chiamata in onore del fisico fiorentino Serafino Serrati: il nome di specie “marcescens” è relativo al fatto che il batterio, dopo aver prodotto un pigmento rosso intenso (la prodigiosina), marcisce velocemente in una massa fluida mucillaginosa. Ergo, dicendolo piano: attenzione alle reliquie. Grazie a Dio, i Vangeli sono tutta, tutta un’altra cosa.In Mc 14,22 l’evento eucaristico è una sintesi emblematica delle già descritte condivisioni di pane e pesce, quasi in un manifesto programmatico: partecipare alla cena di Gesù significa accoglierne l’azione squisitamente creatrice, farla propria per poi moltiplicarne le potenzialità attraverso il dono gratuito di sé. La ripetizione, non casuale, del contesto di scena («καὶ ἐσθιόντων», «mentre mangiavano») elimina qualunque parvenza di rito e di sacralità. «Preso un pane…» («λαβὼν ἄρτον»). Senza l’articolo determinativo, ἄρτον, pane, è da leggersi “un” pane e non “il” pane: un pane qualunque, non quello rituale. Ancora una volta, nessuna parvenza di atto mistico, pur trattandosi della ricorrenza del primo giorno degli Azzimi: il pane della cena potrà essere lievitato, tondo e buono in ogni sua parte, in modo da escludere qualunque riverenza gerarchica. Alla mensa di Gesù non ci sono animali puri o impuri, non c’è cibo kosher; non esistono sacrifici di esseri viventi. Non c’è alcun altare, esiste solo la tavola su cui mangiare. Non c’è “il boccone migliore”, accuratamente catalogato nel Deuteronomio. Il pane è raccogliere ovunque, “ut unum sint”, per poi ridistribuire dappertutto. Non v’è cenno del lavaggio delle mani, delle complesse abluzioni per rendere i commensali degni di accostarsi al desco. La cena del Signore non richiede che le persone che vi si accostano siano pure e senza peccato: è esattamente il contrario. Accostarsi alla cena del Signore purifica di ogni colpa e corregge ogni difetto. «Mentre mangiavano egli, preso un pane, benedisse, lo spezzò, ne diede loro e disse: prendete, il mio corpo è [tutto] questo. E, preso un calice, ringraziò, lo diede loro e ne bevvero tutti». Curioso come l’invito a “prendere”, e non ad attendere che qualcuno porga qualcosa, sia correlabile ad un insolito τοῦτό, “questo, ciò”, di genere neutro, pertanto non attribuibile ad ἄρτος, “pane”, di genere maschile. Quando il Signore dice “il mio corpo è questo”, intende probabilmente “il mio corpo è tutto ciò che stiamo facendo”: il vero corpo di Cristo è la comunità che benedice, spezza, prende il pane e si fa pane a sua volta. Pensiamo a come debba decadere, pertanto, certa pietosa devozione alla particola intesa come oggetto di culto e di adorazione, e anche quale reale significato possa sottostare al presunto dogma della transustanziazione. In ambito liturgico è però la versione paolina, la più antica e vicina agli eventi accaduti, quella impiegata in extenso: «Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”». Se si va a riesumare il testo latino della Prex eucharistica, si legge: «Hic est enim calix Sanguinis mei, novi et aeterni testamenti, qui pro vobis et pro multis effundetur in remissione peccatorum». Non c’è alcun accenno all’espressione «offerto in sacrificio per voi», così come le medesime parole sono del tutto assenti nelle versioni liturgiche di tutto il mondo, in qualsiasi lingua che non sia l’italiano. Ciò a dimostrazione del fatto che qualunque aspetto rituale o sacrificale, che ogni accenno a sensi di colpa o di indegnità sono del tutto estranei al testo evangelico e alla tradizione della Chiesa: l’eucarestia è un dono gratuito per tutti, non un premio per i meriti di qualcuno (di nuovo, come ripete sempre anche papa Francesco).”
Commenti recenti