DA “INFALLIBILE ?” DI HANS KUNG
RIPORTIAMO QUI BRANI DELL’ULTIMO CAPITOLO DEL LIBRO DI HANS KUNG “INFALLIBILE ?” LIBRO CHE COSTO’ MOLTO CARO AL GRANDE TEOLOGO.
SONO PAGINE EMBLEMATICHE CHE TROVANO GRANDE RESPIRO NELL’ESPERIENZA DEL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO ANCHE SE C’E’ ANCORA MOLTO DA FARE.
(IL LIBRO FU PUBBLICATO DALLA QUERINIANA NEL 1970)
L’enciclica ” Humanae vitae” analizzata all’inizio ne è solo un esempio, un esempio di cui il Papa in questa situazione, che potrebbe avere solo da Roma un mutamento decisivo, non trova più seguito in cerchie molto estese della Chiesa: non solo tra i laici, ma nemmeno tra il clero, e non solo tra il “basso ” e il giovane clero, ma anche tra i vescovi.
Il Papa e i pochi veramente desiderosi di riforma che si trovano nella curia romana pensano che si debba loro lasciar tempo. Ma è la situazione attuale che non permette più di pensare per secoli o anche solo per decenni. Troppi dentro e fuori la nostra Chiesa sono dell’avviso che si aspetta già da fin troppi secoli. Non ci sarà per questo uno scisma esterno; finora solo cerchie tradizionalistiche hanno mostrato tendenze simili, producendo oggi addirittura un ridicolo antipapa. Tuttavia , per un calo di fiducia nella direzione suprema della Chiesa – ed è cosa che si dovrebbe evitare a tutti i costi – , si può giungere al punto in cui clero e popolosi interessano e si preoccupano sempre meno dei moniti e delle messe in guardia , diciamolo pure , delle encicliche e dei decreti di tale direzione suprema della Chiesa.
Per restare all’intervista di Suenens, vi si ravvisa appunto un momento carico di speranza e di significato: con opportuna obiettività viene qui delineata no da un teologo, ma da un vescovo di primo piano della nostra Chiesa, 2l’immagine del Papa quale potrebbe essere” basta raccogliere dall’intervista i diversilineamenti, e limmagine è del tutto chiara…non è illusione il credere che il Papa possa anche essere diverso.
Come potrebbe, dunque, essere il Papa?
Un tale Papa porterebbe lo stampo di una visione autenticamente evangelica, e non giuridico-formalistica e statico-burocratica. Egli guarderebbe al mistero della Chiesa alla luce dell’evangelo, del Nuovo Testamento: non come unità amministrativa centralizzata, ove i vescovi non soltanto delegati ed organi esecutivi del Papa, ma come una Chiesa che si realizza autenticamente nelle Chiese locali( nelle singole comunità, città, diocesi, nazioni) , le quali costituiscono dovunque una comunione come l’unica Chiesa di Dio e restano unite alla Chiesa di Roma quale centro della loro unità.
Questo Papa non vedrebbe in una decentralizzazione dei poteri un pericoloso preambolo per un possibile scisma. Non impedirebbe , ma favorirebbe quella che è una disuguaglianza legittima: nei settori della spiritualità, della liturgia, della teologia, del diritto canonico e della pastorale. Suo obiettivo non sarebbe la permanente concentrazione del potere per una ricca molteplicità e varietà delle Chiese locali nell’unica Chiesa: non il soffocamento del pluralismo di diversi teologi con misure inquisitorie da secoli passati, ma l’incoraggiamento della loro libertà e del loro servizio per la Chiesa; non un geloso aggrapparsi a poteri, prerogative e forme di esercizio di una autorità nel senso dell’Ancien Règime, ma un’autorità del servizio nello spirito del Nuovo Testamento e delle esigenze del nostro tempo: cooperazione fraterna e collegiale, dialogo, consultazione e collaborazione soprattutto con i vescovi e i teologi di tutta la chiesa, interessamento delle persone coinvolte nel Decision-making-process e invito alla corresponsabilità.
Questo Papa intenderebbe la sua funzione come una funzione della Chiesa: un Papa non al di sopra o al di fuori della Chiesa, ma nella Chiesa con la Chiesa e per la Chiesa. Nessun estrinsecismo , isolazionismo e trionfalismo e perciò non una solitudine del Papa, una sua unità con la Chiesa, da lui stesso sempre di nuovo cercata e realizzata. Per tutti i documenti e le iniziative importanti si assicurerebbe della cooperazione dell’episcopato, dei teologi più capaci e dei laici più impegnati, senza mai sconfessarli in un momento successivo. Se a volte può e certo deve agire “da solo” non lo farà mai da isolato e separato dalla Chiesa e dal suo collegio episcopale, ma in comunione spirituale e in ferma solidarietà con la Chiesa intera. Egli non intenderebbe mai la promessa fatta a Pietro come ispirazione personale, ma come una particolare assistenza all’interno della consultazione e della cooperazione con la Chiesa, alla quale nel suo insieme è promesso lo Spirito.
Un tale Papa arginerebbe l’apparato amministrativo della Curia e si opporrebbe al suo tendere all’egemonia. Libererebbe il centro da inutile pesantezza burocratica e amministrativa e provvederebbe ad una vera internazionalizzazione e ad una radicale riforma con l’aiuto di teologi ed esperti in sociologia, con l’aiuto del ménagement, delle organizzazioni internazionali, ecc. Cercherebbe una approfondita verifica del sistema dei Nunzi romani e desidererebbe anche nella Curia romana un sistema di nomina purificato dal sospetto di un arbitrio di stile cortigiano, muovendosi appunto con criteri obiettivi e di dominio pubblico. Orienterebbe la cooperazione secondo il principio della sussidiarietà e strutturerebbe diversamente e meglio, il sistema delle “visite ad limina”, delle relazioni quinquennali dei vescovi, e molto altro in questo settore.
Questo Papa non sarebbe allora contro il diritto, ma contro il giuridismo; non contro la legge, ma contro il legalismo, non contro l’ordine ma contro l’immobilismo; non contro l’autorità ma contro l’autoritarismo; non contro l’unità ma contro l’uniformità. Sarebbe un uomo, che non viene eletto da un collegio di cardinali dominato da un gruppo nazionale ma da un organo rappresentativo della Chiesa universale, un uomo per la cui elezione non è decisiva la nazionalità ma soltanto l’idoneità. Un uomo che rinuncia ad un potere fatto da titoli secondari e marginali (Metropolita della provincia ecclesiastica romana, Primate d’Italia, Patriarca dell’occidente, Capo dello Stato Vaticano) e che si concentra sul suo compito pastorale a livello di Chiesa universale e sull’iniziativa pastorale nella sua diocesi di Roma, una diocesi che dovrebbe attrarre a se tutti gli sguardi per la sua incisività pastorale.
Il Papa potrebbe così assumere in modo nuovo la sua funzione nella Chiesa e nella società contemporanea. Egli servirebbe in forma nuova, insieme ai vescovi, alla comunità ecclesiale e alla sua unità; darebbe vita nuova al lavoro missionario della Chiesa nel mondo; potrebbe sviluppare con tutt’altra credibilità i suoi sforzi per la pace, il disarmo, il miglioramento sociale dei popoli e delle etnie. Nell’ekuméne cristiana, ed anche molto al di là, egli potrebbe continuamente dar forma nella sua vita e nel suo agire alla voce del buon pastore. Sarebbe ispiratore nello spirito dell’evangelo di Gesù Cristo e un leader nel rinnovamento postconciliare, e Roma diventerebbe un luogo dell’incontro, del dialogo e della cooperazione fraterna ed amichevole.
Questo – secondo i tratti delineati dal card. Suenens – è una specie di “specchio del Papa” , l’immagine di un Papa come potrebbe essere. E non è certo in contraddizione con il Vaticano II. Se dovesse essere in contraddizione con il Vaticano I , allora il Vaticano I – e fu questa non da ultima l’intenzione del Vaticano II – andrebbe integrato e corretto alla luce dell’evangelo. Le categorie giuridiche del Vaticano I non bastano comunque per tratteggiare come andrebbe compreso un servizio di Pietro alla luce della Scrittura stessa a prescindere totalmente da una motivazione evangelica e storica della successione del vescovo di Roma – che per alcuni è una questione estremamente secondaria -, un servizio per la Chiesa universale, un primato di servizio nel pieno senso biblico. Un primato di servizio sarebbe più che un “primato di onore”: un primato del genere non va assegnato non va assegnato nella Chiesa del servizio e non può nemmeno aiutare nessuno con la sua passività. Un primato di servizio sarebbe anche più di un “primato di giurisdizione”: inteso come forza e potere sarebbe un radicale equivoco, mentre nella sua comprensione letterale passa appunto sotto silenzio l’elemento determinante che è il servizio. Un servizio di Pietro inteso biblicamente può solo essere un “primato pastorale” : un servizio pastorale per la Chiesa intera.
Come tale è obiettivamente radicato e documentato nel Nuovo Testamento, a prescindere da ogni questione di successione. Come tale potrebbe essere oggi di grande utilità per la cristianità intera. E diciamolo ancora una volta: Giovanni XXIII ha mostrato pragmaticamente, almeno a grandi tratti e con accentuazioni chiare, che un tale e diverso papa sarebbe possibile.
Un programma del genere è un programma in tempi lunghi. La realizzazione esige pazienza ed intrepido impegno. E che si arrivi a realizzarlo in questa o in quell’altra forma, è anche indubitabile. Il problema è solo non si arrivi ancora una volta troppo tardi e quindi con perdite troppo ingenti.
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