Provo vergogna per la mia Chiesa
Johan Bonny
vescovo di Anversa
Nell’ottobre 2015 ho partecipato al Sinodo sul matrimonio e la famiglia in rappresentanza dei vescovi del Belgio. Ho ascoltato i vescovi in aula e nei corridoi, ho sentito tutti i discorsi, ho partecipato alle discussioni di gruppo e alla stesura degli emendamenti per il testo finale.
Il 15 marzo 2021 la Congregazione per la dottrina della fede ha risposto negativamente alla domanda se le unioni omosessuali possono essere benedette. Come mi sento dopo questo responsum?
Male. Provo vergogna per la mia Chiesa, come ha detto ieri un prete. E soprattutto, provo vergogna intellettuale e morale. Voglio chiedere scusa a tutti coloro per i quali questa risposta è dolorosa e incomprensibile: le coppie omosessuali credenti e impegnate nella fede cattolica; genitori e nonni di coppie omosessuali e dei loro figli; operatori pastorali e accompagnatori di coppie omosessuali. Il loro dolore per la Chiesa è oggi il mio dolore.
Il responsum manca di cura e attenzione pastorale, di fondamento scientifico, della sfumatura teologica e della precauzione etica che erano presenti nei padri sinodali che hanno approvato le conclusioni finali del Sinodo. Qui è all’opera un diverso processo di consultazione e di decisione. A titolo di esempio, vorrei citare solo tre passaggi.
In primo luogo, il paragrafo nel quale si afferma che nel piano di Dio non c’è la minima possibilità di somiglianza e nemmeno di analogia tra il matrimonio eterosessuale e quello omosessuale. Conosco personalmente coppie dello stesso sesso, sposate civilmente, con figli, che sono famiglie calde e stabili e sono attivamente coinvolte nella vita della loro parrocchia.
Alcuni di loro sono anche attivi a tempo pieno come assistenti pastorali o responsabili in varie aree della vita della Chiesa. Sono particolarmente grato a loro. Chi potrebbe negare che non c’è alcuna somiglianza o analogia con il matrimonio eterosessuale? Al Sinodo la falsità fattuale di una simile posizione è stata ripetutamente sottolineata.
In secondo luogo, il concetto di “peccato”. I paragrafi finali tirano fuori l’artiglieria morale più pesante. La logica è chiara: Dio non può approvare il peccato; le coppie omosessuali vivono nel peccato; quindi la Chiesa non può benedire la loro relazione.
Questo è esattamente il linguaggio che i padri sinodali non hanno voluto usare, sia in questo che in altri casi sotto il titolo generale di situazioni cosiddette “irregolari”.
Questo non è il linguaggio di Amoris laetitia, l’esortazione di papa Francesco del 2016. Il “peccato” è una delle categorie teologiche e morali più difficili; e quindi una delle ultime a dover essere applicata alle persone e al modo di condividere la loro vita. E certamente non va fatto su categorie di persone in generale.
Ciò che le persone sono disposte e capaci di fare, in questo preciso momento della loro vita, con le migliori intenzioni che hanno per sé stesse e per i loro cari, davanti al Dio che amano e che le ama, non è una questione semplice da definire. In effetti, la teologia morale cattolica classica non ha mai affrontato queste questioni in modo così semplice. O tempora, o mores!
Infine, il concetto di “liturgia”. Questo mi mette ancora più in imbarazzo come vescovo e teologo. A causa della loro relazione, le coppie omosessuali non sono degne di partecipare alla preghiera liturgica o di ricevere una benedizione liturgica. Da quale nascondiglio ideologico è uscita questa affermazione sulla “verità del rito liturgico”?
Di nuovo, questa chiaramente non era la dinamica del Sinodo. Si è parlato ripetutamente di rituali e gesti appropriati per includere le coppie omosessuali, anche in ambito liturgico. Certo, questo rispettando la distinzione teologica e pastorale tra un matrimonio sacramentale e la benedizione di una relazione.
La maggioranza dei padri sinodali non ha optato per un approccio liturgico in bianco e nero, o un modello tutto o niente. Al contrario, il Sinodo ha dato l’impulso per esplorare con giudizio le forme intermedie, che rendono giustizia sia all’unicità di queste persone sia alla particolarità della loro relazione. La liturgia è la liturgia del popolo di Dio, e anche le coppie dello stesso sesso appartengono a questo popolo.
Inoltre, sembra irrispettoso affrontare la questione di un’eventuale benedizione di coppie dello stesso sesso a partire dai cosiddetti sacramentalia o dei rituali di benedizioni, in cui è prevista anche la benedizione di animali, automobili ed edifici.
Un approccio rispettoso al matrimonio omosessuale può avvenire solo nel più ampio contesto del rito del matrimonio, come una possibile variazione sul tema del matrimonio e della vita familiare, con un onesto riconoscimento sia delle somiglianze sia delle reali differenze.
Con le sue benedizioni, Dio non è mai stato avaro o sospettoso. Egli è nostro Padre. Questo era l’approccio teologico e morale della maggior parte dei padri sinodali.
Insomma: nel presente responsum non trovo le linee principali – così come le ho vissute – del Sinodo dei vescovi del 2015 su matrimonio e famiglia. Si tratta di un danno per le coppie omosessuali credenti, le loro famiglie e i loro amici. Sentono di non essere stati trattati in modo sincero e onesto dalla Chiesa. Le reazioni in questo senso ci sono già.
È anche deplorevole per la Chiesa. Questo responsum non è un esempio di cammino comune. Il documento mina la credibilità sia della “via sinodale” fortemente voluta da papa Francesco, sia dell’anno dedicato alla ripresa di Amoris laetitia. Il vero Sinodo vuole sollevarsi?
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Testo ripreso dal sito Cathobel (traduzione della versione francese approvata dall’autore) e pubblicato sul sito www.settimananews.it
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