Declericalizzare il cristianesimo
Ultimamente Papa francesco ha definito il clericalismo una malattia!
Si pone quindi il problema di come declericalizzare il cristianesimo e, quindi, anche la Chiesa!
Non solo.
Io direi che bisogna andare anche oltre la “declericalizzazione”!
Riscoprire l’anima e la radice esistenziale e laica del cristianesimo e della Chiesa.
Sul numero di Maggio della Rivista “Ospitslità Eucaristica” ho pubblicato un articolo su questo tema.
Ve lo incollo qui di seguito e vi inserisco anche il Link della rivista.
Un abbraccio a tutte e tutti!
Di fronte alle domande che vengono poste la tentazione sarebbe quella rispondere con un’altra, intrigante, domanda: E se invece che limitarcisi alla “declericalizzazione” della Chiesa si incominciasse a lavorare per la sua “deritualizzazione” o “deliturgizzazione”? Il che comporterebbe una radicale “desacralizzazione” con la conseguente “laicizzazione” della chiesa.
Sì, dico bene ed uso le parole specificamente ad hoc e in senso progressivo: declericalizzare, deritualizzare, desacralizzare!
Se rileggiamo con attenzione e da “convertiti” la narrazione di ciò che il Maestro ci ha lasciato come eredità e di cui dovremmo far memoria, forse saremmo in grado di comprenderne tutta la portata esistenzialmente rivoluzionaria. In questo senso le parole di Paolo sono più significative di quelle di Luca: «Il Signore prese il pane, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi. Fate questo in memoria di me» (1 Cor. 11,24). Le parole “Fate questo” vengono dette non del pane consacrato ma del pane spezzato. Come a dire: «Questo sono io: pane spezzato. Spezzatevi anche voi». Non c’è quindi nessun bisogno di un sacerdote che consacri ma di gente che si faccia in quattro. Né c’è bisogno di un tempio o di una chiesa in cui radunarsi per un rito ma di uomini e donne che si spezzino per gli altri: in strada, nelle piazze, negli uffici o nelle fabbriche.
Aggiungerei ancora che se per sacro intendiamo quel processo di segregazione per cui un oggetto o luogo o persona viene sottratto all’uso profano e riservato alla divinità, allora dobbiamo dire che il cristianesimo costituisce il suo processo contrario: Dio nell’incarnazione si sottrae alla sua solitudine solidarizzando con l’uomo e, nell’Eucarestia, si pone nelle mani dell’uomo per diventare alimento comune. Si tratta di un vero e proprio processo di desacralizzazione o, se si vuole, dissacratorio, nel senso etimologico del termine.
Da non dimenticare che «la corrente profetica, temuta e avversata dai custodi della società ebraica, toccò il suo adempimento in Gesù dì Nazareth, che abolì la necessità del tempio, della legge e del sacerdozio e, indicando nel mondo costituito il regno di Satana, proclamò quali eredi delle promesse i reietti di questo mondo, gli stranieri: i poveri, i miti, i perseguitati» (Ernesto Balducci, La terra del tramonto, p. 140).
Insomma il confronto con l’Evento che ci ha fatto nascere come Chiesa ci interpella nelle profondità, là, direbbe il mai sufficientemente rimpianto amico Ernesto Balducci «dove diventano tenebra le luci della memoria apologetica, dove, insomma, è dato di sentirsi stranieri nella patria cristiana» (Id. p. 150).
In questo senso (e non sembri una bestemmia!) l’astinenza liturgica cui ci costringe l’emergenza coronavirus potrebbe esser vissuta non come una privazione ma come una promozione, trasformando il semplice dato temporale, “Cronos”, nel più pregnante ed evangelico momento propizio, “Kairos”.
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