I NARCOS MI VOGLIONO MORTO
3 Marzo 2019 di David Lifodi
Recensione al libro della giornalista di Avvenire Lucia Capuzzi, dedicato a padre Alejandro Solalinde, uno dei più coraggiosi difensori degli indocumentados che cercano di raggiungere gli Stati uniti attraverso il Messico.
di indocumentados che quotidianamente cercano di attraversare la sempre più blindata frontiera che separa il Messico dagli Stati uniti è stato raccolto da Lucia Capuzzi, latinoamericanista del quotidiano Avvenire. “Se c’è un libro che mette in luce la natura profondamente etica e politica del Vangelo, è questo”, ha scritto don Luigi Ciotti nella prefazione. Un cristiano, sostiene infatti il fondatore di Libera, non può distogliere lo sguardo da un’umanità privata di dignità e libertà, ma deve gettare le basi per la giustizia sociale, a partire dai luoghi più dimenticati della terra. Il Messico è uno di questi e, annota Lucia Capuzzi, si è “trasformato in un corridoio di passaggio per centroamericani, salvadoregni, honduregni e guatemaltechi, in fuga dal mix di ferocia e miseria che dilania la regione più violenta del mondo. Lasciare il paese, soprattutto per i più giovani, è questione di vita o di morte”. Pur essendo stato sempre un ribelle, padre Alejandro si è imbattuto davvero nei migranti quando, mentre si recava ad un incontro di carattere religioso con un altro sacerdote, quest’ultimo fece finta di non cogliere l’anelito di giustizia di Solalinde, il quale riteneva invece inammissibile che nessuno si occupasse di loro. Fu da allora che iniziò la sua battaglia per appoggiare gli indocumentados, nonostante le minacce dei Los Zetas, allora il più influente gruppo criminale del narcotraffico. “Dite a quel prete che questa notte l’ammazzerò con le mie mani” fu uno dei primi messaggi che si Come mons.Romero e molti altri sacerdoti latinoamericani, padre Alejandro Solalinde non ha mai taciuto. Non l’ha fatto il 24 giugno 2008, quando il sindaco di Ixtepec, alla guida di un minaccioso corteo, voleva bruciare l’Albergue “Hermanos en el Camino o”, i migranti che vi avevano trovato rifugio e lo stesso sacerdote, e nemmeno quando il Cartello del Golfo è venuto direttamente dal religioso a presentarsi, in stile mafioso, tramite due narcotrafficanti-emissari.
“I narcos mi vogliono morto” (Emi, 2017) racconta la storia di padre Alejandro Solalinde, dei migranti che aiuta ogni giorno a non finire nelle mani dei cartelli della droga, della polizia di frontiera e di bande di criminali comuni in un paese, il Messico, dove i trafficanti di uomini la fanno da padrone e non esiste più alcun rispetto per la persona umana. L’impegno di Solalinde per le migliaia
vide recapitare padre Solalinde. “Non potete servire a Dio e a mammona”: è questo passo del Vangelo di Matteo che il sacerdote ripete ogni giorno, ricordando che ad aprirgli gli occhi fu il Concilio Vaticano II ed un incontro con le donne indigene di Oaxaca, che vendevano cianfrusaglie in mezzo alla strada. In quel momento, confessa
Solalinde, “provai vergogna di me stesso. Indossavo un abito alla moda, ero ben pettinato e portavo il mio profumo preferito. Più che un prete, sembravo un dandy”.
L’aperta sfida alla criminalità e ad uno stato che molto spesso in Messico si va a braccetto, per il sacerdote fu dar vita all’Albergue “Hermanos en el Camino”, un ricovero per tutti coloro che vi arrivano spesso in groppa alla Bestia, il treno merci sul cui tetto viaggiano i migranti mettendo spesso a rischio la loro stessa vita. Tra le ospiti dell’Albergue vi sono anche molte giovani donne, a cui Lucia Capuzzi dedica un capitolo del suo libro, incentrato sulle violenze di cui finiscono per essere inevitabilmente vittime
le migranti. La percentuale di quelle che rischiano di essere stuprate è molto alta, eppure in tante decidono di intraprendere comunque questo viaggio della speranza, non prima di aver effettuato la cosiddetta “iniezione anti-Messico”. Giovani e giovanissime, scrive la giornalista di Avvenire, “s’iniettano il Depo-Provera, un anticoncezionale composto da un solo ormone – il medroxiprogesterone – la cui efficacia dura 90 giorni, con un margine di errore intorno al 3%”.
Padre Alejandro Solalinde si è abituato a vivere sotto una costante minaccia di morte: ritiene, in qualità di credente, di dover partecipare al martirio del suo popolo. Ai giorni nostri, ma anche in passato, è lunga la lista di sacerdoti che hanno dedicato l’intera vita ai loro popoli, dai curas villeros argentini perseguitati dalla giunta militare a molti
preti di strada brasiliani legati alla Teologia della Liberazione, fino ai religiosi impegnati a fianco delle comunità indigene e contadine contro le megaopere che stanno distruggendo l’America latina.
È ancora un passo del Vangelo secondo Matteo a venire incontro a Padre Alejandro: “Servire e dare la vita in riscatto per molti”. Solalinde si identifica in queste parole, fermamente convinto che la sua vita non possa che intrecciarsi con quella degli indocumentados e che non debbano esistere muri e barriere. Migrare è un diritto.
“I narcos mi vogliono morto” – di Lucia Capuzzi – Emi – 2017 – € 15
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