
Papa Francesco ci suggerisce di andare a raggiungere i fratelli e sorelle per testimoniare una Chiesa italiana inquieta
l’omelia del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Cei, in occasione della Messa in suffragio di Papa Francesco, celebrata all’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro, il 23 aprile 2025.
Quanta emozione celebrare in questo luogo, che ci riporta al ministero affidato da Gesù a Pietro, primato indispensabile che serve e rappresenta la comunione, antidoto al banale protagonismo, presidenza nella carità di un popolo che dall’oriente all’occidente è radunato dal Signore. Non è scontato, quando nel mondo una cosa sola è l’individuo, non persone diverse ma unite dall’amore. Disse Papa Benedetto: “La vera fede è illuminata dall’amore e conduce all’amore, verso l’alto, come l’altare della Cattedra eleva verso la finestra luminosa, la gloria dello Spirito Santo, che costituisce il vero punto focale per lo sguardo del pellegrino quando varca la soglia della Basilica Vaticana. A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio. Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso”.
La nostra concreta umanità, la parzialità del nostro amore segnato sempre dalla nostra fragilità, non solo non impedisce questa bellezza, ma la fa risaltare, perché non è la gloria ipocrita dei farisei o l’esaltazione della propria forza, ma quella di peccatori perdonati nella cui debolezza risalta la grandezza di Dio. Preghiamo per Papa Francesco, insieme alle nostre Chiese in Italia, alle comunità tutte, a un popolo immenso nella casa comune del nostro paese e del mondo intero, segnato da tante divisioni, incapace di pensarsi insieme, di ascoltare il grido dei poveri, che costruisce lance e distrugge le falci e pericolosamente si lascia persuadere dalla logica della forza e non da quella del dialogo, dal pensarsi senza o sopra gli altri e non dal faticoso ma indispensabile pensarsi insieme. Ringraziamo per il dono di questo padre e pastore, fratello, che ha speso fino alla fine tutta la sua vita, con tanta libertà evangelica perché obbediente a Cristo, senza supponenza, scegliendo la semplicità così importante nella vita di San Francesco, che la immagina sorella germana della povertà. Non che il Santo approvasse “ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto. È quella che pone la sua gloria nel timore del Signore e che non sa dire né fare il male. La semplicità che esamina sé stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e la attribuisce al migliore”. La semplicità avvicina tutti e fa sentire possibile e facile farlo. La semplicità è offrire una dimensione normale della vita ma non per banalizzarla, anzi, al contrario per comunicare ancora di più la grandezza di Dio, la gloria dell’umile. Ha voluto la Chiesa credibile perché povera e amica dei poveri, motivo della scelta del suo nome.
“Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do” (At 3,6). È questa l’unica forza che permette alla Chiesa di ridare speranza a chi l’ha persa. L’amore si accorge Del povero, della sua attesa, sa guardare e raccoglie e fa sua la speranza dei poveri, proprio perché ha solo amore, vive la compassione di Gesù. Lo prese per la mano destra e lo sollevò, in maniera concreta, aiutando a rialzarsi, come sempre è il servizio e come ha fatto e chiesto Papa Francesco. “Hai guardato negli occhi chi ti chiedeva l’elemosina? L’hai toccato?”.
Oggi siamo noi i due discepoli di Emmaus. La tristezza è molto più pervasiva di quello che pensiamo, avvolge i cuori impedisce come la malinconia di vedere altro, di riconoscere la vita intorno, quel pellegrino di cui pure parlavano e che desideravano. I due tornavano da dove erano venuti. La speranza appare impossibile e non bastano le parole dei discepoli o di alcune donne che dicono che è vivo. La Parola di Dio si affianca di nuovo e ci dice che l’amore affronta e passa attraverso la sofferenza, che la morte è un inizio, che niente è perduto perché si trasforma, è avanti, non indietro. Sì, stolti e tardi di cuore lo siamo nel comprendere come solo vivendo le sofferenze possiamo entrare nella sua gloria. Papa Francesco con tutta la sua vita si è fatto pellegrino instancabile e credibile nel nome di Gesù, ascoltando e toccando il cuore. Oggi ci chiede ancora di guardare al futuro, di aprire gli occhi per sognare, di non accontentarsi. Come a Firenze, dieci anni fa, nel discorso alla Chiesa italiana, oggi è lui il pellegrino che ci impedisce di cercare nel passato sicurezza, soluzione, protezione. Ha indicato e vissuto la gioia, ha messo al centro le Parole di Gesù, il kerigma, liberandolo da tante glosse, personali e ecclesiastiche, che lo rendevano inefficace, tanto da non parlare più al cuore, quasi da pensare di non avere niente da dire a chi, invece, cercava proprio le parole di vita eterna che solo Lui ha e che ci ha affidato. Oggi sentiamo Papa Francesco che si affianca nel nome di Gesù ai credenti spenti di entusiasmo e dalla paura. Ci ha fatto vedere anche fino alla fine che seguire la strada di Gesù è donarsi, andare nei luoghi dove è umiliato per trovarvi e donare gioia. E ci ricorda di essere nella gioia, come nel suo ministero ha sempre indicato. Prendiamo con noi le sue parole e i suoi gesti, lasciamoci toccare il cuore, farci ardere del suo amore, perché ci aiuteranno ad aprire gli occhi, a non tornare ad Emmaus, a prendere per buona una sicurezza senza speranza, per camminare di nuovo insieme. Ritroveremo anche noi i fratelli e ci confermeremo a vicenda raccontando come l’avevano riconosciuto, testimoniando, riscostruendo quella frateria e quella comunione che il male vuole dividere e rendere insignificante. Papa Francesco continua a parlarci di questo a noi pellegrini di speranza e ci chiede di esserlo noi, ma insieme, comunità cristiana forte perché al centro c’è la relazione con la parola. È stato come l’Evangelii gaudium, da cui partire e che è stato l’orizzonte anche del Cammino sinodale, che dobbiamo tradurre in scelte e prosettore concrete. Ci ha indicato l’umiltà “che libera dall’ossessione di preservare la propria gloria, la propria ‘dignità’, la propria influenza” mentre possiamo cercare la gloria di Dio che sfolgora nel disonore della croce di Cristo; il disinteresse, per evitare di “rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. “La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. E infine la beatitudine, perché voleva una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. Mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assume il proposito di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Col 9,22)”.
Papa Francesco ci suggerisce di andare a raggiungere i fratelli e sorelle per testimoniare una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti, una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. “Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.
Ascoltiamo le sue parole conclusive di domenica scorsa: “Sorelle, fratelli, nello stupore della fede pasquale, portando nel cuore ogni attesa di pace e di liberazione, possiamo dire: con Te, o Signore, tutto è nuovo. Con Te, tutto ricomincia. Cari fratelli e sorelle, nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre (cfr. Sequenza pasquale) e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr. A 21,5)!”. Lo affidiamo al suo Signore e siamo certi che ci affida al Dio della vita. Grazie Papa Francesco per le tue parole, per la fiducia nella forza del Vangelo e nello Spirito che non fa mancare le risposte, perché ti sei affiancato a tanti pellegrini tristi e hai acceso i cuori, indicando la speranza, il futuro. Hai lasciato tanto e porti con te tanto. In pace.23 Aprile 2025
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