
il grido profetico per una Chiesa di libertà e comunione
Xabier Pikaza: il grido profetico per una Chiesa di libertà e comunioneJose Carlos Enriquez DiazXabier Pikaza, teologo coraggioso, libero e scomodo per chi è inserito nel sistema, ha parlato con la chiarezza dei profeti quando tutto sembra coperto dall’incenso delle formalità.
Non parla a partire dalla nostalgia o dalla dottrina morta, ma dal cuore palpitante del Vangelo. Le sue parole non sono diplomatiche, ma evangeliche. E oggi, con la morte del papa che ha voluto seminare una nuova forma di Chiesa, la sua voce risuona ancor più necessaria, più urgente, più dolorosa e luminosa al tempo stesso.Il papa è morto. E con lui molti sognano che anche il seme da lui piantato muoia. Ma questo seme continua a vivere. È vero che non è ancora germogliato completamente. La terra è ancora indurita, i cuori sono chiusi, le strutture resistono. Ma Pikaza ci avverte: i corvi stanno già volando sopra il campo. Sono i custodi della vecchia cristianità, i gerarchi che non hanno mai accettato un papa che parlasse di misericordia prima della dottrina, che anteponesse l’amore alla legge, che ascoltasse il popolo prima di dettare legge dal trono.Perché papa Francesco non è stato perfetto, ma profondamente evangelico. Non ha cambiato le strutture dall’oggi al domani, ma ha messo in moto un processo che potrebbe cambiare tutto: la sinodalità. Ed è questo quello che molti non gli perdonano. Il fatto che abbia aperto il gioco, che abbia rotto la rigida verticalità, che abbia voluto che il Popolo di Dio fosse ascoltato e non solo diretto. Pikaza lo dice senza giri di parole: ha seminato il seme di una Chiesa sinodale. E ora che è morto, il rischio è che questo seme venga divorato dai corvi della paura, del potere, del dogma usato come arma.Ma cos’è questa Chiesa sinodale che Pikaza invoca a gran voce e che il papa è morto nel seminarla? Non una Chiesa senza regole, ma una Chiesa nella quale la regola nasce dall’ascolto, non dall’imposizione. Non si tratta di una democrazia ecclesiale di stampo mondano, ma di una comunione reale dove tutti camminano, pensano, decidono e si santificano insieme. È una Chiesa in cui il vescovo non è proprietario, ma fratello maggiore. Dove il papa non regna dall’alto, ma anima dal centro, con gli altri, non sopra gli altri.La Chiesa del XXI secolo che Pikaza sogna e sostiene è una Chiesa di servizio, non di privilegio. Una Chiesa più simile a una mensa condivisa che a un tribunale inquisitorio. Più vicina alla donna del profumo che ha rotto il suo flacone per amore che ai farisei che la guardavano con disprezzo. Più fedele ai gesti di Gesù – lavare i piedi, toccare i lebbrosi, perdonare le adultere – che ai canoni elaborati secoli dopo per racchiudere il fuoco dello Spirito in urne dorate.Questa Chiesa non può più basarsi sulla figura di un papa-monarca. Il prossimo conclave si terrà, sì, secondo gli schemi del passato. Ma diventerà sempre più chiaro che il futuro non risiede nell’eleggere il più forte, il più conservatore, il più diplomatico. Il futuro sta nel riconoscere che il potere nella Chiesa non può continuare a funzionare come dominio, ma piuttosto come dono e servizio. Che le chiavi del Regno date da Gesù a Pietro non servivano a chiudere porte, ma ad aprire cammini. Non erano fatte per blindare dottrine, ma per liberare i cuori.La morte del papa ha scatenato le forze che erano in agguato. Molti di coloro che non hanno mai accettato il suo progetto si stanno già muovendo per seppellire la sua eredità. Non lo faranno apertamente, ma piuttosto con discorsi gentili, facendo appello all’unità, alla tradizione e alla prudenza. Ma dietro questa facciata si nasconde un desiderio di restaurazione, di ritorno al controllo, all’obbedienza cieca, al clericalismo come stile di vita. Sono i corvi di cui parlava Pikaza. Sono gli stessi che hanno ucciso i profeti, che hanno messo a tacere le voci, che hanno addomesticato la fede.Eppure il seme è lì. Il Vangelo non può essere dissotterrato. Anche se molti ci provano, ci sono comunità vive, credenti svegli, donne e uomini che non vogliono più una Chiesa che parli di loro, ma con loro. Non vogliono obbedire senza comprendere, ma camminare in coscienza. Non vogliono gerarchie che si impongono, ma fraternità durature.Pikaza, con la lucidità di chi ha trascorso decenni ad amare la Chiesa a partire dalle sue ferite, ci lascia questo monito e questa speranza. Monito a chi crede che tutto possa tornare alla «normalità» pre-francescana. Speranza per coloro che sanno che la Chiesa di Gesù non muore con un papa, perché la sua forza risiede nello Spirito e nel popolo credente che non si lascia addomesticare.La questione non è più se il cambiamento sia possibile. La domanda è: siamo disposti a prenderci cura del seme? Per difenderlo dal vento, dall’odio, dalla paura? Ad essere terreno fertile in mezzo a un’istituzione che spesso è stata di pietra? La Chiesa sarà sinodale, libera, evangelica… o non sarà. La morte del papa non può essere la fine. Deve essere l’inizio.____________________________________________Articolo pubblicato il 24.4.2025 nel sito «Ataque al poder» (www.ataquealpoder.es). Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli
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