
Quando la fine diventa un nuovo inizio
di Dea Santonico
Assisi 22-23 febbraio: questo l’appuntamento per l’assemblea “Costruendo insieme la Chiesa sinodale”, promossa dalla Rete sinodale, composta da una trentina di realtà di base della Chiesa italiana. Più di 160 persone provenienti da diverse realtà ecclesiali hanno raccolto l’invito e si sono ritrovate alla Cittadella, per lavorare insieme su un contributo per la fase profetica, che chiuderà il cammino del Sinodo della Chiesa italiana.
Divisi in laboratori abbiamo riflettuto su diversi temi: organizzazione delle comunità cristiane, processi decisionali nella Chiesa, centralità della Parola, ministeri ecclesiali, ruolo delle donne, presenza delle persone LGBT+, modalità celebrative, abusi di potere, coscienza e sessuali, gestione dei beni ecclesiastici, centralità di ultimi e ultime, pluralismo religioso, immigrati, rapporto con la politica e laicità dello Stato, pace, giustizia e salvaguardia del creato, dialogo ecumenico e interreligioso.
Quello che ne è venuto fuori si può trovare nel documento finale inviato alla segreteria del Sinodo italiano. Missione compiuta! La Rete sinodale era nata quattro anni fa da un’idea di Noi Siamo Chiesa, per cui siamo grati a Mauro Castagnaro e Vittorio Bellavite, un grande amico scomparso, con l’obiettivo di dare un contributo al Sinodo italiano e a quello universale. L’abbiamo fatto, a partire dal maggio del 2021, con l’invio di tredici contributi tra documenti e lettere. Potremmo quindi chiuderla qui. Sì potremmo… ma questi quattro anni di cammino comune e soprattutto l’assemblea di Assisi hanno cambiato qualcosa, e i nostri piani di fine lavori saltano.
Il cammino fatto insieme in questi anni, tra realtà che non si conoscevano da vicino, ci ha fatto capire che da soli non bastiamo e ha dimostrato che la sinodalità è possibile, faticosa ma bella da vivere.
E poi Assisi, il primo incontro in presenza. L’emozione di abbracciare persone che sentivamo vicine ma che avevamo incontrato solo online e tante altre, vecchi e nuovi compagni e compagne di strada.
È stato impegnativo ma bello lavorare insieme nei laboratori, condividere esperienze forti, come è successo nel laboratorio a cui ho partecipato sugli abusi di potere, spirituali e sessuali. Testimonianze di chi ha vissuto l’abuso delle terapie riparative in seminario, di chi a distanza di tempo rilegge i suoi dieci anni in un monastero di clausura e ne vede il sistema strutturalmente abusivo, di chi dal seminario è stato cacciato perché gay, di chi a fatica ma ce la fa a raccontare degli abusi sessuali subiti da bambina, e di abusi spirituali rispetto alla sua identità sessuale e di genere. E insieme scopriamo un Dio dalla parte degli abusati e delle abusate, lui stesso abusato dai poteri politici e religiosi di tutti i tempi, che nel suo nome hanno creato e creano sofferenza, oppressione e morte. “Dio è seduta e piange” – le parole della preghiera di Maria Riensiru, che abbiamo recitato in assemblea. E sentiamo che Dio è lì, con un volto di donna rigato dalle lacrime, seduta in cerchio in mezzo a noi. Forte la spinta a rompere il muro di omertà intorno a questo dramma, a sconfiggere l’indifferenza e la solitudine in cui sono lasciate le vittime e le loro famiglie.
Momenti di preghiera si alternano a momenti di festa. E poi la celebrazione eucaristica della domenica che conclude l’assemblea. Omelia condivisa tra tanti e tante. Il brano del Vangelo di Giovanni, che racconta l’incontro di Gesù con la samaritana. Un pensiero mi attraversa la mente e si ferma su quel secchio, così importante per prendere l’acqua dal pozzo eppure lasciato dalla donna per correre in città a raccontare ciò che aveva visto e udito, come prima di lei avevano fatto dei pescatori, lasciando sulla spiaggia le reti, indispensabili per chi viveva di pesca. Per seguire Gesù bisogna dunque lasciare qualcosa di importante, non superfluo. Cosa sono disponibile a lasciare io per seguire Gesù? Cosa è disponibile a lasciare la mia Chiesa per annunciare in modo credibile la Buona Novella?
E poi le parole di Gesù: “Questo è il mio corpo” pronunciate tutte e tutti insieme. Finalmente cancellata quella parola, “sacrificio”, che rimanda all’immagine di un Dio violento, che per perdonare ha bisogno dell’umiliazione, della tortura e del sangue di Gesù. Per rendere giustizia al Dio di Gesù, onnipotente nella sua misericordia, capace di donare in modo gratuito, che si compromette con i peccatori e le peccatrici prima della loro conversione, senza porla come condizione. Il pane spezzato dai fratelli ortodossi, che hanno condiviso con noi il cammino ad Assisi, e poi passato con il vino di mano in mano a tutta la comunità lì riunita. Quel gesto di spezzare irrinunciabile, perché il corpo di Gesù non è nel pane, è nel pane spezzato, come ci ricorda Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi: “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Dunque quando Gesù pronuncia le parole: “Questo è il mio corpo” non ha in mano un pane, ma un pane spezzato. Mi sono mancate le parole: “Fate questo in memoria di me”, con cui Gesù ci chiede di spezzare la nostra vita con gli scartati e le scartate, come ha fatto lui.
Ad Assisi è nata una Chiesa dal basso, che non vuole essere un’altra Chiesa, ma una Chiesa altra. È successo. Dunque può succedere. Che sia l’inizio di un nuovo cammino contagioso da percorrere tutti e tutte insieme alla sequela di Gesù di Nazareth.
Dea Santonico
27 febbraio 2025
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