Singh, la società dilaniata e il ruolo nuovo della chiesa
Marco Damilano
«Spesso ci interroghiamo su dove è finito Dio, su come è possibile che muoiano dei bambini. Ma davvero la domanda è un’altra, dov’è finito l’uomo! Perché Dio lo sappiamo dove sta, sulla barca con loro», ha detto il cardinale Matteo Zuppi, la sera del 19 giugno, nella basilica romana di Santa Maria in Trastevere dove fu parroco, alla preghiera della Comunità di Sant’Egidio per gli almeno 2454 migranti morti nel Mediterraneo nell’ultimo anno. C’erano la chiesa piena, i canti in arabo e in zulu, i fiori, le candele accese in memoria dei “morti di speranza”, le preghiere lette da preti, suore, laici impegnati nell’accoglienza, don Mattia Ferrari di Mediterranea, padre Camillo Ripamonti del centro Astalli, le Acli, la fondazione Migrantes. Nelle stesse ore, a pochi metri di distanza, nell’ospedale san Camillo, moriva il bracciante Satnam Singh, non di speranza ma di sfruttamento, per cui ieri si è manifestato a Latina. E ancora non hanno nome i corpi recuperati al largo di Roccella Ionica, una strage delle dimensioni di quella di Cutro, di nuovo senza soccorso. La distanza La preghiera per i migranti, officiata dal presidente della Conferenza episcopale, segna di nuovo la distanza della chiesa dalla politica ufficiale. Alla vigilia di un appuntamento importante, la Settimana sociale, gli stati generali dei cattolici italiani, a Trieste tra dieci giorni. Interverranno Sergio Mattarella e papa Francesco, sulla questione cruciale della democrazia, che torna a stare a cuore al mondo cattolico, dopo anni di eclissi. La democrazia è, prima di tutto, vicinanza, prossimità con il Paese che non si vede. Leggere il rapporto della Caritas sulla povertà in Italia, mentre la maggioranza votava sul premierato e sull’autonomia differenziata, faceva un effetto straniante. Di qua lo scambio tra Fratelli d’Italia e Lega sulla Costituzione, di là la fotografia di un paese in cui una separazione o una malattia rappresentano una tragedia per i quasi dieci milioni di italiani in povertà assoluta e i tredici milioni e 391mila a rischio, che sarebbero di gran lunga il primo partito italiano, ma che sono senza rappresentanza e forse per questo stanno in quella metà che non va a votare. Ma nel Giorgialand, in questo simile al renzismo trionfante degli anni Dieci, le fratture non si vedono, vanno ignorate. È l’ispirazione opposta all’immagine della barca tornata più volte nell’omelia del cardinale Zuppi. «Passiamo all’altra riva», dice Gesù nel vangelo di Marco. La barca viene sballottolata dalle onde, come quella dei migranti che attraversano il mare a rischio della vita, ma la barca siamo noi, ha ripetuto Zuppi, siamo sulla stessa barca, a condividere la paura e la speranza di arrivare a terra. La barca è l’Italia che l’autonomia divide. Negli ultimi giorni gli interventi dei vescovi del sud si sono moltiplicati, con inedita durezza. «Ma i cristiani votanti in Senato hanno dimenticato la Scrittura, i padri della chiesa? Stanno dalla parte dei ricchi in modo pregiudiziale? #secessionedeiricchi», ha scritto sui social l’arcivescovo di Cosenza Gianni Checchinato. Le macerie È per fermare questa onda, che negli ultimi giorni è tornato a parlare il cardinale Camillo Ruini, in un’intervista sul Corriere della Sera. L’ex presidente della Cei ha poco cristianamente attaccato Oscar Luigi Scalfaro, che non si può difendere, essendo morto nel 2012. Ai suoi funerali, celebrati a Santa Maria in Trastevere, don Vincenzo Paglia ricordò che accanto al letto teneva il rosario, la Bibbia, la Costituzione (chissà cosa tiene Ruini). Ma soprattutto il cardinale si è proposto come leader e ideologo di quello che andrà definito, una volta per tutte, clerico-berlusconismo. Ruini si è vantato di aver fatto approvare la legge incostituzionale e disumana sulla procreazione assistita (con l’aiuto nel centrosinistra dell’allora leader della Margherita che oggi si vorrebbe di nuovo in campo: «Rutelli fu collaborativo, si astenne, come avevamo chiesto», dice l’ex presidente della Cei), di aver fatto fallire il referendum sulla legge 40 puntando sull’astensionismo, di aver mobilitato il Family Day contro il governo Prodi («non ero più presidente della Cei, ma guidai quel passaggio»). Nei suoi ricordi è un capolavoro, invece fu un momento meschino, che ha lasciato quello che più dovrebbe spaventare un uomo di fede: il nulla. Oggi la chiesa prova a fare i conti con le macerie culturali, etiche e spirituali di quella stagione, alla ricerca di una nuova forma di presenza. A cominciare dai territori, corpi intermedi, luoghi di popolo, che sono l’ossatura della comunità ecclesiale, a fianco di quella civile, il patrimonio da cui far passare una nuova ricostruzione. Nella consapevolezza che nella barca in tempesta ci siamo tutti, che solo insieme si arriva all’altra riva._________________________________________________Articolo pubblicato sul quotidiano “Domani” il 23 giugno 2
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