Tensione conflittuale nella Chiesa
José María Castillo
È un “segreto di Pulcinella” che ci sia un profondo malessere nella Chiesa. Nonché un malessere che si è scoperto e che desta preoccupazione negli ambienti religiosi ed ecclesiastici. Questa situazione, spiacevole e pericolosa, si è accentuata a causa della morte dell’ex papa Benedetto XVI.
Certo, gli ultimi due papi, Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, sono stati e sono due uomini molto diversi. Ma il problema non è cosa sono stati – o sono – questi due uomini. Il problema è in ciò che entrambi rappresentano.
Certo, nella Chiesa tutti i papi rappresentano la suprema autorità. Ma non dimentichiamo che in ogni caso e chiunque sia, stiamo parlando della suprema autorità “nella Chiesa”, che deve essere esercitata “secondo quanto insegna il Vangelo”. Tenendo sempre presente che nella Chiesa nessuno può avere l’autorità di vivere o di decidere “contro ciò che insegna il Vangelo”. Certo, nella misura e secondo i limiti insiti nella condizione umana.
Ebbene, detto ciò, sappiamo che Gesù ha annunciato ai suoi dodici apostoli tre volte (Mc 8,31 par; 9, 30-32 par; 10, 32-34 par; J. Jeremias, Teología del Nuevo Testamento, Sígueme, Salamanca 2009, pp. 321-331), che a Gerusalemme sarebbe stato condannato alla morte più bassa che una società potesse offrire: quella del criminale giustiziato (Gerd Theissen, Gesù ed il suo movimento, Claudiana, Torino 2007, p. 51).
Ebbene, dal momento in cui i discepoli hanno saputo che si avvicinava la fine di Gesù e che tutto sarebbe finito in un fallimento inimmaginabile, il comportamento di quegli apostoli ha preso una piega inaspettata. Molto semplicemente, coloro che “seguendo Gesù” avevano abbandonato tutto ciò che avevano (famiglia, lavoro, casa…) (cf. Mt 8, 18-22; Lc 9, 57-62) con incredibile generosità, vedendo che ciò portava al fallimento più crudele e vergognoso, proprio per questo quei “seguaci” di Gesù hanno allora iniziato a discutere su chi di loro fosse “il più grande” (“méizon”) (Mc 9, 33-35, cf. 10,43; Lc 22, 24-27) (cf. S. Légasse, Dic. Ex. NT, vol. II, 207). Cioè chi doveva avere il potere più grande e doveva apparire come il più importante. Gesù, al contrario, cambia radicalmente tale criterio: il primo tra i suoi discepoli non deve essere il più grande, ma al contrario: il più piccolo, colui che rappresenta ciò che è considerato come un bambino (Mc 9,37 par).
Ma questa non è la cosa più importante insegnata da Gesù ai suoi discepoli ed apostoli. Dopo il terzo annuncio della passione e morte, quando già stavano salendo a Gerusalemme (Mc 10,32 par), alla vigilia del fallimento imminente “i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni” hanno avuto l’audacia sfacciata di chiedere a Gesù che fossero per loro i primi posti. Al che Gesù ha risposto: “Voi non sapete quello che chiedete” (Mc 10,34 par). E soprattutto, il problema grave è che gli altri discepoli si sono indignati alla richiesta di Giacomo e Giovanni (Mc 10,41). In altre parole, tutti volevano essere collocati nelle posizioni più importanti.
La risposta di Gesù è stata secca. Li ha convocati tutti e ha detto loro che non potevano desiderare ciò che desiderano i “capi delle nazioni”. Dovevano desiderare e vivere come “doúloi”, come “servi e schiavi” degli altri (Mc 10, 42-45 par).
Nella Chiesa è avvenuto un doppio snaturamento. Innanzitutto, il Vangelo ha richiesto la “sequela” di Gesù, che si realizza nella spoliazione di tutto ciò che si ha (Mt 8, 18-22; Lc 9, 57-52). Cioè non vivere legati ai beni che ci privano della libertà, per rendere possibile la bontà senza limiti. Ma quello che abbiamo fatto è stato spostare la “sequela” di Gesù verso la “spiritualità”, che è privilegio di eletti.
E l’altro snaturamento – il più decisivo nella Chiesa – è quello che è emerso già nei primi discepoli, quando Gesù li ha informati che dovevano spogliarsi, non solo “di quello che ciascuno aveva” (denaro, beni, casa, famiglia…), ma anche e soprattutto “spogliarsi dell’io” (Eugen Drewermann). Questo spiega il fatto che, quando Gesù ha informato i discepoli – per la seconda volta – della fine che lo attendeva (Mc 9, 30-32 par), quegli uomini fedeli hanno cominciato a discutere “chi di loro fosse il primo e il più importante” (Mc 9, 34-35 par). Al che Gesù ha risposto che nel suo progetto chi voleva “essere il primo” doveva “essere come un bambino ed essere l’ultimo” (Mc 9, 33-37 par).
Quei primi apostoli sicuramente “seguivano” Gesù. Ma quei seguaci di Gesù “non avevano rinunciato all’io”. Cioè volevano seguire Gesù, ma essendo i primi, i più importanti, quelli che comandano. E nella realtà, quando hanno arrestato Gesù per ucciderlo, Giuda lo vendette, Pietro lo rinnegò tre volte e, naturalmente, “tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono” (Mc 26,56).
Da quel momento sono stati posti i pilastri di una Chiesa che vive in tensione conflittuale. Nel secolo scorso papa Pio X affermava in una famosa enciclica (“Vehementer Nos”): “Solo nella gerarchia risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società. Quanto alla moltitudine, essa non ha altro diritto che quello di lasciarsi condurre e, docilmente, quello di seguire i suoi pastori” (cf. Y. Congar, Ministerios y comunión eclesial, Madrid, Fax 1973, p. 14).
Così si considerava la Chiesa nei primi anni del secolo XX. Un secolo dopo – adesso – una Chiesa così è insopportabile. In questo momento ci troviamo nel processo di trasformazione per il quale è urgente recuperare ciò che ha iniziato, ha voluto e vuole Gesù, come è emerso con chiarezza nel Vangelo. La Religione è in crescente declino. Questo declino non è una disgrazia fatale. È il passaggio inevitabile affinché il centro della vita della Chiesa non sia costituito da conflitti clericali, ma dal recupero del Vangelo.
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Articolo pubblicato il 3.2.2023 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI
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