Superare il clericalismo per riformare la chiesa
Quando parliamo di laicità delle prime comunità cristiane, esattamente di cosa parliamo? Parliamo della laicità di Gesù e parliamo della laicità dei ministeri ecclesiali. Gesù sostiene Meier “era un laico religiosamente impegnato, che sembrava minacciare il potere di un gruppo ristretto di sacerdoti” (“Stato laicale di Gesù” in Meier “Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico” vol. I, pp. 345-353). La laicità di Gesù risulta evidente da una serie di episodi culminanti nel gesto profetico compiuto nel Tempio riportato in tutti e quattro i vangeli. Gesto che indubbiamente provoca la vicenda processuale e costituisce la motivazione della sua crocefissione. Ma oltre al l’aver scacciato i venditori dal Tempio, che Gesù fosse un laico lo attesta la sua genealogia. Egli infatti non discende dalla tribù di Levi (che era la tribù preposta a fornire il ceto sacerdotale), bensì dalla tribù di Giuda. Gli scritti del NT affermano che Gesù era un davidide (“Figlio di Davide”) della tribù di Giuda, “tribù dalla quale mai nessuno fu addetto all’altare” (Eb 7,13), tanto che “se Egli fosse sulla terra, non sarebbe nemmeno sacerdote” ( Eb 8,4). Negli scritti neotestamentari si poosono cogliere altri elementi che sostengono la laicità di Gesù. Ad esempio nel suo rapporto con le regole di purità, nella sua relazione con le donne e nella famosa distinzione tra Cesare e Dio… La laicità delle prime comunità cristiane si evince anche nell’autocomprensione che avevano le prime comunità in ordine ai ministeri ecclesiali. Nessuno degli apostoli apparteneva alla tribù di Levi, tutti erano laici, compreso Mattia, il sostituto di Giuda. Nessuno di loro quindi ricopriva incarichi sacerdotali presso il Tempio. Nessuno dei ministeri post pasquali aveva caratteristiche sacerdotali. Ad iniziare di Paolo di Tarso che proveniva dalla tribù di Beniamino e che era un laico di professione visto che faceva il costruttore di tende o il tessitore di lino. Anche i suoi collaboratori (Timoteo, Tito, Epafrodito, Aristarco, Omesimo, Epafra) erano laici, ad esclusione, forse, di Barnaba che era un levita di Cipro e che svolgeva un qualche compito sacerdotale presso il tempio. Ed anche tutte le donne che gravitano attorno a Paolo (Febe, Giunia, Maria, Perside, Prisca, Trifena) non fanno parte nemmeno loro della casta sacerdotale. In ogni caso è indubbio che in seno alle antiche comunità cristiane, sia paoline, sia gerosolomitane, sia altre, nessun ruolo ministeriale e nessuna incarico di responsabilità era indicato con la qualifica di “hiereus”, sacerdote. Nella prospettiva paolina la santità a cui erano chiamati tutti i battezzati era una santità non sacerdotale, non sacrale, bensì una santità laica, personale, esistenziale. Ed è in questa accezione che tutta la comunità intende se stessa come “basileion hieretauma” ovvero come sacerdozio regale o regalità sacerdotale. Anche i doni più specifici (i carismi) che lo Spirito dona alle comunità non prestano alcun profilo sacerdotale e ciò vale anche per i carismi che via via si istituzionalizzavano per essere riconosciuti dalla comunità ed essere chiamati ministeri (la parola latina ministerium traduce quella greca diakonia e significa servizio a favore della comunità). In 1 Cor 12, 4-10) si citano diversi carismi-ministeri tutti “manifestazioni dello Spirito per il bene comune”. Anche in 1 Cor 12, 28-30, Paolo elenca una serie di funzioni ecclesiali: apostoli, profeti, maestri, ed anche “I miracoli, i doni di guarire, di assistere, di governare, di parlare in lingua”. In Ef 5,11 si citano gli evangelizzatori ed i maestri. In Rom si parla di ministeri: profezia, diakonia, insegnamento, esortazione, condivisione, presidenza, opere di misericordia. Paolo si preoccupa sempre di evidenziare la loro dimensione comunitaria al servizio dell’unione (tipico in tal senso 1 Cor 12, 4-6). Ai fini del nostro discorso sulla laicità risulta del tutto evidente che Paolo nel citare la ministerialità delle comunità non adopera mai un linguaggio sacerdotale, nessun “hiereus”, nessun “archontes”, nessun “archai”, nessun “kyrios”. Ed a tal proposito si premura in 2 Cor 1, 24 di affermare: “noi non intendiamo fare da padroni/signori sulla vostra fede, siamo invece i collaboratori della vostra gioia”. Anche se il significato dei vari termini ministeriali cambia di chiesa in chiesa, comune rimane l’esclusione di ogni appellativo sacerdotale per denotare un qualsiasi servizio nelle altre comunità della chiesa primitiva. Così ad Antiochia, a Gerusalemme, a Tessalonica, a Roma, a Filippi, ad Efeso. Romano Penna ha descritto la laicità dei ministeri esistenti in queste antiche comunità nel suo “Un solo corpo” (ed Carocci) pagg 63-92. Gotthold Hasenhuttl ha dedicato all’argomento il suo volume da titolo “Carisma. Principio fondamentale per l’ordinamento della chiesa” EDB. Giuseppe Barbaglio ha scritto un libro importante sull’argomento “Laicità del credente. Interpretazione biblica” Cittadella editrice. Sono stato dati alle stampe altri studi di esegeti e di teologi che più volte ho citato nei miei interventi. Tutti concordano sul fatto che la laicità era una caratteristica della chiesa primitiva. I ministeri prima del terzo/quarto secolo non possedevano alcun profilo sacerdotale. Il clero doveva ancora essere inventato.
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