TESTIMONIANZA DELLA COMUNITA’ CRISTIANA DI BASE DEL CASSANO DI NAPOLI AL SINODO 2021-2023
Ci sta intrigando il cammino che la Chiesa istituzionale, con grande ritardo rispetto alle intuizioni conciliari, sta intraprendendo per tentare di darsi un volto sinodale e noi, piccola comunità cristiana di base, non vogliamo sottrarci all’impegno di offrire la testimonianza della nostra esperienza ultracinquantennale, fedeli anche alla scelta che il movimento delle comunità di base (cdb) ha fatto fin dalle sue origini. Come efficacemente riassumeva il compianto Ciro Castaldo della Segreteria Tecnica del movimento: “Noi non intendiamo creare un’altra Chiesa, ma contribuire a rendere “altra”, cioè coraggiosa, profetica, spoglia di ogni potere mondano la Chiesa storica a cui apparteniamo”. La nostra vuole essere la testimonianza di un cammino di liberazione, alla luce del Vangelo, in mare aperto, fuori dal Tempio.
Parlare dell’esperienza sinodale della Comunità del Cassano equivale a narrare il cammino che la Comunità ha percorso in questi 50 e più anni della sua vita. Un cammino geneticamente sinodale perché la Comunità nasce e si sviluppa nell’incontro di fraternizzazione e unione di almeno tre diverse esperienze comunitarie di base (quelle del Vasto, di Capodichino, di Torre del Greco poi trasferitasi in via Blanch) scaturite prima dall’uscita dalla Azione Cattolica (dove alcuni di noi ne erano stati anche dirigenti a livello diocesano), poi addirittura dall’uscita dal Tempio (compresi alcuni parroci e preti provenienti dal movimento nazionale “7 novembre” nato nel 1971). Un Tempio dove forze egemoniche, soprattutto a livello delle gerarchie, ma anche del clero, tradizionaliste e conservatrici resistevano alle grandi aperture del Concilio e dove non entrava la vita delle persone, con le loro fatiche e sofferenze quotidiane e non entravano le forti tensioni sociali, culturali, di liberazione antiautoritaria di quel tempo e dove, invece, spesso, entravano pratiche di collateralismo partitico e di sostegno alle classi politiche ed economiche dominanti. Al fine di prospettare qualche idea e proposta al dibattito sinodale, abbiamo pensato di articolare in quattro punti la nostra esperienza, soprattutto sugli aspetti riguardanti la sua sinodalità, il suo camminare insieme, accompagnati da qualche breve riflessione.
Primo punto: Sinodalità all’interno della Comunità.
La nostra è stata, innanzitutto, l’esperienza di una piccola comunità non guidata da un prete e che, quindi, ha dovuto subito affrontare, in mare aperto, non senza travaglio, intense discussioni, pause di riflessione, fasi di digiuno eucaristico e, qualche volta, anche con scelte diversificate al suo interno, i primi passi verso l’uscita dal sacro e la declericalizzazione ministeriale (riappropriazione dei sacramenti e della lettura biblica, celebrazione dell’eucarestia, battesimo dei figli, catechesi, ora di religione, etc.). Senza prete, i ministeri venivano e vengono tuttora esercitati secondo i carismi di ciascuno e ciascuna di noi.
La nostra è stata un’esperienza iniziata senza avere una sede propria e, per diversi anni, fino al 1977, le riunioni si svolgevano, a turno, presso le case delle famiglie che ne facevano parte. Da allora gli incontri sono proseguiti, e ancora proseguono, presso locali adiacenti la Parrocchia S.Francesco Caracciolo grazie all’interessamento di alcune suore del Sacro Cuore, che lì operavano in povertà, incontrate al Convegno diocesano “Evangelizzazione e promozione umana” indetto dal Cardinale di Napoli Corrado Ursi, svoltosi dal 18 al 20 marzo 1977.
La nostra è stata ed è un’esperienza dove uomini e donne, senza distinzione, fanno un cammino di fede insieme. Un cammino che si è riversato intensamente nelle relazioni interpersonali e intrafamiliari determinando rapporti di autentica fratellanza e sorellanza, pure, talvolta, nella diversità di idee e di pensiero, fino ad accogliere nel percorso anche persone di altra fede cristiana e persone non credenti, ma interessate ad una ricerca comune per una spiritualità laica e umanistica.
La nostra è stata ed è l’esperienza di un messaggio annunciato con la testimonianza che non prevarica mai (o almeno si sforza di non farlo), che si affida alla forza intrinseca del messaggio evangelico, che esula da ogni tentazione di proselitismo. E anche per i nostri figli ci ha orientato il pensiero espresso dal compianto Enzo Mazzi della Comunità dell’Isolotto di Firenze: “ Non intruppare i giovani, non caratterizzarli per l’appartenenza, lasciarli liberi, come le frecce scoccate da un arco. E lasciare che facciano il loro percorso e trovino loro, nella loro coscienza, nella realtà concreta le forme per impegnarsi ed aggregarsi. Anche per dire che non puntiamo a riprodurci, non puntiamo a trasmettere contenitori, ma a trasmettere semmai il contenuto. A trasmettere messaggi di liberazione, di speranza, di coerenza”.
Abbiamo vissuto sempre lontani da un mondo del sacro che ci separasse dagli altri. I momenti di “frazione del pane” fra noi rappresentano la condivisione dei nostri impegni, delle nostre gioie, delle nostre sofferenze, della nostra realtà quotidiana e vorremmo che rappresentassero sempre i nostri corpi spezzati per gli altri, per il nostro prossimo, vicino e lontano, di oggi e di domani. Questo segno, per noi importante, è preparato e gestito da tutti e tutte, senza distinzione, come vorremmo che fosse anche per la Chiesa istituzionale.
Punto secondo: Sinodalità nel rapporto con le altre comunità di base.
Il percorso è stato un confrontarsi costante con la ricerca e la prassi delle altre comunità di base all’interno del movimento nazionale, mai ripiegato su se stesso ma aperto al dialogo con altre realtà ecclesiali e confessioni religiose. Un cammino ricco di diversità, ma, proprio per questo, fortemente arricchente. Pensiamo che ogni forma di sinodalità debba includere la ricchezza delle differenze, l’ascolto, il dialogo, la ricerca, il dubbio. E tale modalità, introiettata fortemente nello spirito del movimento, non ha portato mai a rompere i rapporti di fraternità e di amicizia che ci hanno sempre legati.
Già nel 1985, in occasione del Sinodo straordinario dei Vescovi, le comunità di base scelsero di interessarsene, ritenendo che dal Concilio fossero scaturite indicazioni importanti e innovative rispetto al rapporto chiesa-mondo (i famosi segni dei tempi), alla Chiesa “Popolo di Dio”, alla netta affermazione della corresponsabilità di tutti e tutte nella gestione della comunità dei credenti, intesa soprattutto come chiesa locale, alla laicità dello Stato, alla rinuncia ad ogni privilegio, alla centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa e del credente. La “Parola” che ha ispirato la vita delle comunità di fede è stata anche per noi un punto di riferimento fondamentale di un cammino illuminato dallo Spirito che soffia dove vuole e fondato sul primato della coscienza coltivata nella comunione comunitaria. Un cammino nel segno di una chiesa povera, fra e con i poveri, dove si possa respirare lontani da ogni forma di assolutismo, di sacralità, di dogmatismo, di clericalismo. Il nostro cercare, testardamente, una chiesa “altra”, ci ha visti coinvolti in un percorso che oggi ha incontrato per strada le coraggiose aperture, pur con qualche ambiguità, di Papa Francesco per una Chiesa in uscita, per una Chiesa con il grembiule stimolando il movimento delle comunità di base, e noi stessi, a fare la scelta di prendere parte al cammino sinodale proposto dalla Chiesa universale.
Punto terzo: Sinodalità con altre realtà, ecclesiali e laiche, impegnate in cammini di liberazione.
La ricerca di una fede laica ci ha resi aperti e liberi nel coinvolgere e nell’essere coinvolti in processi di liberazione con tantissime altre realtà che abbiamo incrociato lungo il cammino ultracinquantennale a livello cittadino e, in particolare, del territorio dell’Area Nord di Napoli, dove prevalentemente abbiamo operato. Non sempre è stato facile, anche per la particolare composizione della Comunità vissuta da persone provenienti da varie parti di Napoli e della sua provincia, quindi, senza uno specifico, se non parziale, radicamento. La Comunità, comunque, o nella sua interezza, o solo attraverso una sua parte, in particolare quella residente nella periferia a nord di Napoli (Secondigliano, Scampia, Miano) è riuscita, nel corso della sua lunga vita, a promuovere diverse aggregazioni ed iniziative, quasi sempre insieme ad altre realtà di base, laiche o religiose, cristiane e non, fuori e dentro il Tempio, in una reciproca contaminazione. Di queste aggregazioni ed iniziative ci piace citarne qualcuna tra le tante: in passato (anni ’70) il Circolo politico culturale “Quattro Giornate” a Secondigliano; ancora attive, invece: il Circolo Legambiente “La Gru” che a Scampia ha dato vita, coinvolgendo scuole e associazioni, ad una esperienza “Progetto Pangea”, trasformando un terreno che era una sorta di discarica in un giardino, il “Giardino dei 5 Continenti e della non violenza” di fronte ad un muro di cinta tappezzato da murales dedicati a personaggi storici e contemporanei resisi protagonisti di culture e pratiche nonviolente; il Coordinamento ecumenico per la Pace e il disarmo nato nel 1989 da cui ha origine nel 1991 l’Associazione Scuola di pace, ospitata dal 2003 nei locali della Chiesa Battista di via Foria, dove l’attività fondamentale è rappresentata dall’insegnamento della lingua italiana operato, su base del tutto volontaria, da decine di docenti e diretto, da 14 anni, a centinaia di immigrati; il Caffè Letterario di Scampia, ospitato nel “Centro Hurtado” gestito dai Padri Gesuiti, nato al tempo della faida di camorra nel 2004 che insanguinò tutta l’Area Nord di Napoli, importante intervento culturale e di resistenza civile in un territorio difficile ; il Forum Tarsia che utilizzando una struttura abbandonata, la Chiesa delle Scalze a Pontecorvo, nel centro storico di Napoli, cerca, con laboratori creativi e artistici di coinvolgere i ragazzi del territorio, con particolare attenzione nei confronti dei ragazzi portatori di handicap. Naturalmente la Comunità non limita l’azione alle sole proprie iniziative ma partecipa e aderisce anche a reti ed attività promosse da altre realtà, sia ecclesiali, come è successo, per esempio, con le giornate di preghiera e di digiuno proposte da Papa Francesco, sia laiche, come succede per lotte, manifestazioni e presidi per la pace, per l’ambiente, contro ogni forma di razzismo, di xenofobia e ogni altra discriminazione, contro ogni forma di criminalità organizzata, per l’affermazione di diritti civili e sociali. In particolare, ogni anno, assicuriamo la nostra partecipazione e collaborazione allo storico Carnevale del Gridas di Scampia, un evento di forte coinvolgimento artistico e culturale del territorio su tematiche di impegno civile, sociale e politico.
Quarto punto: Sinodalità con la Chiesa locale
E’ questo il punto sul quale la nostra piccola comunità ha avuto poco impatto. Pochi e sporadici sono stati i momenti in cui siamo riusciti ad intrecciare il nostro cammino con la Chiesa di Napoli, se non con specifiche realtà religiose territoriali come la Parrocchia S.Francesco Caracciolo a Mianella e la Rettoria dei Gesuiti S.Maria della Speranza a Scampia, dove si sono determinati rapporti di reciproca stima, rispetto, collaborazione, e dove una parte significativa della Comunità ha ripreso a frequentare abitualmente il Tempio nella celebrazione domenicale dell’Eucarestia. Non siamo stati indifferenti all’esigenza di un dialogo con i nostri Vescovi che si sono succeduti nel tempo, ai quali abbiamo inviato, non frequentemente, è vero, documenti, inviti, lettere aperte ma dalla Chiesa istituzionale, salvo qualche rara occasione, vi è stata scarsa o nulla considerazione, non superando il tabù su credenti considerati ribelli e dissidenti. D’altra parte questo atteggiamento è comune a buona parte delle Chiese locali in tutta Italia.
Oggi la Chiesa di Napoli vede la presenza di un nuovo Vescovo, Don Mimmo Battaglia, il cui arrivo nella Diocesi abbiamo salutato, in un documento pubblico, con grande gioia e speranza, speranza oggi rafforzata dai suoi primi atti, animati da un forte spirito evangelico e da grandi aperture umane, sociali, culturali. Speriamo tanto di poterci incontrare. In un bel documento, Don Mimmo definisce questa fase “Shema”, “Ascolta”, riferendosi sia ad un ascolto interiore nel silenzio, sia all’ascolto degli altri: “Fratelli e sorelle, il nostro primo punto programmatico è imparare ad ascoltare questo particolare silenzio, che non è assenza di suoni, ma è palpito di attesa e di gioia premonitrice di speranza, accoglienza dell’amore che non si nega e si diffonde fino a colmare completamente l’anima”. Il secondo momento di ascolto riguarda il Popolo di Dio. Lo ha detto molto bene, in un recente articolo, Don Gennaro Matino: “Fare Sinodo è mettersi in gioco, tutti insieme, tutti coloro che vorranno farlo, senza escludere nessuno, per provare a provocare il tempo e lo spazio che viviamo vestendolo di fraternità, colorandolo di bellezza e amore”. E ancora il nostro Vescovo: “Siamo convinti che un ascolto profondo comporti il superamento dei ruoli in una conversione dei ruoli che non giudichi nessuno superiore all’altro e dia a tutti la possibilità di esprimersi: alle persone “lontane” come a quelle che vivono situazioni di fragilità; a quelle impoverite, sfiduciate, abusate; a chi non ha neppure la voce per parlare”.
Condividiamo profondamente questa impostazione, deve essere questo il segno caratterizzante il cammino sinodale della Chiesa universale. La nostra testimonianza, con le problematiche che solleva, i dubbi e le incertezze che l’accompagnano, vuole essere un contributo, magari modesto, marginale, certamente non autoreferenziale a quell’ascolto, a quel dialogo auspicato. Vogliamo metterci in gioco , come chiede Don Gennaro Matino. La nostra speranza è che la Chiesa istituzionale, la Chiesa a cui storicamente apparteniamo esca da questo Sinodo avendo compiuti ulteriori e radicali passi in direzione di un suo forte rinnovamento, come coraggiosamente sta tentando d fare, fra mille ostacoli, Francesco. A noi piace l’orizzonte profetico, forse un po’ provocatorio, che prefigurò Padre Ernesto Balducci: “Questo cristianesimo deve morire per dare frutto. Morire significa ritrovare la propria fecondità sorgiva, il proprio annuncio profetico . Quindi, alla fine, io sono ottimista, non nel senso trionfalistico, perché io non penso ad una conversione di tutti gli uomini al cristianesimo. Penso alla presenza nel mondo di un fermento evangelico rappresentato da comunità di fede, che è un fermento di salvezza, anche per quelli che non si convertono”. Appunto, primi e più radicali passi in direzione di una Chiesa “altra”, quella Chiesa che abbiamo sognato sull’onda del Concilio, all’inizio del nostro cammino comunitario, e che abbiamo cercato di praticare, fra tanti errori e limiti, e che ancora cerchiamo di praticare, ora e qui.
Comunità cristiana di base del Cassano di Napoli
Corrado Maffia corrado.maffia@gmail.com – 3333963476
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