Nei paesi cristiani la Religione è più presente del Vangelo
José María Castillo
Scrivendo le mie «Memorie», mi sono reso conto che da molti secoli e senza considerare l’importanza che ha questo tema, la pura verità è che nei paesi riconosciuti come «cristiani» è più presente ed è più decisiva la Religione del Vangelo.
Non sto esagerando. E non ne sto facendo un dramma. Il problema è che molte persone non riescono nemmeno a pensarci. Perché per queste persone (che sono molte, moltissime…) Religione e Vangelo sono due parole e due fatti, che si riferiscono alla stessa cosa. In fondo, per chi la pensa così il Vangelo è uno degli elementi della Religione. Per questo nell’atto religioso più importante (la messa), le persone che assistono a quest’atto, quando si legge il Vangelo, si alzano in piedi. Secondo i sacerdoti della Religione il Vangelo è il fatto liturgico che merita più rispetto.
Ma succede che chi vede così le cose della Chiesa, non si rende conto dell’enorme contraddizione che c’è in tutto questo. Quale contraddizione? Molto semplice: il Vangelo (o i quattro Vangeli) è una raccolta di brevi racconti in cui l’argomento centrale e determinante è uno scontro che finisce in conflitto. Un conflitto mortale. Il conflitto di Gesù – centro e asse del Vangelo – con la Religione.
Infatti, se Gesù di Nazareth si è scontrato con qualcuno, è stato proprio con gli «uomini della Religione» e le loro istituzioni: il tempio, i sacerdoti, i riti, le leggi liturgiche, i farisei, fedeli osservanti delle norme religiose. Uno scontro che ha portato al conflitto mortale. Quando Gesù ha restituito la vita a Lazzaro (Gv 11, 41-44), il Sinedrio (organo supremo di governo della Religione) ha pensato che doveva uccidere Gesù (Gv 11,53).
É emerso con chiarezza che Religione e Vangelo sono incompatibili. E il Sinedrio ha condannato a morte Gesù. Perché quest’incompatibilità? Religione e Vangelo generano interessi opposti. La religione attrae «capitale» e «potere», mentre il Vangelo si identifica con la sofferenza di «poveri» e «malati». Sant’Ambrogio fu fatto vescovo di Milano quando era catecumeno (non era battezzato). Era un uomo ricco e potente. Ed al tempo di Ambrogio e nei secoli successivi è stato frequente eleggere vescovi coloro che avevano denaro e potere, anche se non battezzati (Peter Brown, Per la cruna di un ago, Einaudi, Torino 2014).
Così il papato e la sua teologia si sono convinti che la Chiesa possedeva la ricchezza e il potere a lei conferiti dalla plenitudo potestatis, cosa che rese possibile il colonialismo dell’Europa
nella maggior parte del mondo. Ad esempio, nel 1454 papa Nicolò V donò al re del Portogallo, Enrico IV di Castiglia, tutti i regni d’Africa. E rese «schiavi» del re anche tutti gli abitanti di quel continente (Bullarium Rom. Pont., vol. V, p. 113).
Ma non tutto è stato negativo nella Chiesa. Anzi. La Chiesa ci ha custodito e trasmesso il Vangelo, che porta in questo mondo ciò che è più decisivo del denaro e del potere. La Chiesa ha permesso che ci arrivassero la seduzione e la forza del Vangelo. In questo momento la cultura che si impone non è il «potere oppressore», ma il «potere seduttivo». L’«orizzontalità» sta sconfiggendo la «verticalità» (Peter Sloterdijk).
Per questo in questo momento il compito urgente della Chiesa consiste nel rendersi conto che la più grande follia commessa nella sua lunga storia, è stata quella di fondere e confondere il Vangelo con la Religione. San Francesco d’Assisi è stato l’uomo più geniale che la Chiesa abbia avuto perché si è reso conto di quest’assurdità. E vi ha rimediato come poteva farlo. Non si è soffermato su ortodossie e autoritarismi, ma sull’esemplarità del Vangelo.
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Articolo pubblicato il 6.7.2021 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com )
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI
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