LA CHIESA E LA PANDEMIA
Intervista al teologo José Arregui
a cura di José Manuel Vidal
In che modo la società spagnola sta percependo il coinvolgimento della Chiesa e il ruolo che sta giocando nella pandemia? Sta svolgendo la sua funzione sociale?
Non ho a disposizione dati sociologici, ma la mia impressione personale, da questo angolo di Gipuzkoa, è che la Chiesa istituzionale si percepisca più distante o assente che mai. È comprensibile, dal momento che nessuna istituzione sociale era preparata a questa situazione, locale e planetaria, senza precedenti, ma nel caso della Chiesa cattolica il suo dislocamento sociale e culturale diventa molto più evidente. Con pochissime eccezioni, la Chiesa cattolica ha rispettato in modo civile e responsabile le linee guida amministrative sull’isolamento – non poteva essere diversamente -, ma penso che, in generale, si riveli incapace di farsi prossima e samaritana in questa situazione, di mostrarsi accessibile, vicina, presente in altro modo, di mettersi guanti e mascherine e offrire le sue case e i suoi mezzi materiali o personali al servizio dei più vulnerabili, o di pronunciare almeno una parola umana, comprensibile, di consolazione e di incoraggiamento così necessari.
Perché non è riuscita come istituzione a rendere ben visibile la sua lotta contro la pandemia e non è stata in grado e non ha tentato di rompere il soffitto di vetro dei grandi media, in particolare delle televisioni?
La pandemia ha messo ancor più in evidenza che l’istituzione ecclesiale continua ad essere ancorata a linguaggi, idee, immagini del passato. Le Eucaristie televisive in chiese solitarie mi sembrano rituali di un altro mondo. Anche se gli Stati stanno ricorrendo alla geolocalizzazione per il controllo dei contagi – con il rischio che il controllo finisca per essere così pericoloso come il contagio del virus -, anche se gli scienziati ricorrono all’intelligenza artificiale per cercare il vaccino del Covid-19 – sottomettendosi quasi a forza agli interessi delle principali case farmaceutiche in una gara folle per il guadagno, origine di tutti i mali -, anche se il mondo intero è in bilico di fronte a un futuro che potrebbe essere molto meglio o molto peggio di quello che ci ha portato fin qui …, i vescovi continuano a incoraggiare nel pregare Dio per la fine di questa pandemia (che una buona volta finirà) e molti teologi continuano a girare intorno al dilemma di Epicuro (IV sec. a.C.): se Dio può e non vuole o vuole e non può evitarci queste sofferenze….Finché continuerà ad immaginare Dio come Ente Supremo personale ad immagine umana, la Chiesa continuerà ad essere relegata, sempre più lontana da questa società, dalle sue angustie e dalle sue gioie.
Pensa che la Chiesa istituzionale farà parte del nuovo contratto sociale che sembra che si stia tessendo?
Due condizioni saranno essenziali per questo. Prima di tutto: che realizzi l’effettiva difesa dei poveri di tutta la Terra, come sta facendo papa Francesco, al di sopra di ogni dogma, rito e norma morale, assuma un paradigma culturale, politico e teologico integralmente ecologico e femminile e accetti radicalmente il principio della laicità sia nell’ordine sociopolitico che spirituale. E in secondo luogo: che sia disposta a effettuare una rilettura della Bibbia e dell’intera tradizione teologica, al di là di ogni lettera e di ogni significato, una reinterpretazione approfondita di tutti i suoi dogmi e categorie e una riforma assoluta del modello clericale di Chiesa. Altrimenti, la Chiesa istituzionale non sarà lievito, testimone, semplice compagna di viaggio e convitata ad Emmaus … Senza questo la Chiesa continuerà a diventare sempre più estranea a questa società, fino a dissolversi del tutto.
La crisi del coronavirus sta portando alla luce il lato religioso di molte persone, finora nascosto o coperto? Gli indifferenti religiosi ritorneranno al cattolicesimo o andranno definitivamente alla ricerca di nuove spiritualità?
Sembra chiaro che il coronavirus ci faccia sentire nella carne viva la nostra fragilità e vulnerabilità, la nostra finitudine, la nostra morte. All’improvviso l’umanità, a cominciare dalle più grandi potenze, si trova confinata, a confronto con le sue paure, la sua solitudine, la sua morte e la morte delle persone amate, in uno stato di lutto planetario come mai prima si era conosciuto.
Ma penso che sarebbe un grande errore pensare che questo significhi il rafforzamento delle religioni tradizionali e, in particolare, della Chiesa cattolica. È nolto probabile che molta gente riscopra il profondo bisogno di guardare più profondamente a se stessa, alla natura che siamo, al cielo stellato, di immergerci nel Mistero di ciò che è, di riconciliarsi con le sue profonde ferite, di riconoscere il bisogno di cura e tenerezza, di reinventare l’economia e la politica, di recuperare la pace, il momento di tregua, l’incoraggiamento a livello personale e strutturale, a livello economico, politico, planetario, di sentire ancora una volta che siamo tutti uno e che solo insieme potremo salvarci. È molto probabile che questa pandemia porti molta gente a riscoprire il bisogno della “spiritualità” come profondità della vita e di tutto ciò che è reale, ma non penso che, almeno per la grande maggioranza, la ritrovi nelle istituzioni religiose tradizionali con i loro dogmi, riti e codici.
La paura della morte che ha attraversato il corpo sociale, ha trovato nella Chiesa significato, consolazione e speranza? Senza la possibilità di fare funerali, la Chiesa ha perso l’ultimo rito di passaggio che le rimaneva?
Spero che la situazione attuale sia una parentesi e che potremo tornare a salutare i nostri morti di persona e collettivamente, sia in maniera religiosa o laica. Spero che i funerali religiosi ritornino, ma dopo il coronavirus mi piacerebbe che la Chiesa cambi il suo linguaggio e la sua struttura arcaica e si faccia spazio alle domande e alle proposte (testi, gesti, parola) delle famiglie “non credenti”, così che i lontani e le lontane dalla chiesa possano sentirsi a proprio agio, ricevano un
vero conforto e il confine stesso tra la “liturgia” (“azione del popolo”) religiosa e laica vada stemperandosi.
Internet (un tempo demonizzato da molti chierici) ha ricevuto la sua consacrazione come un grande mezzo di umanizzazione e di evangelizzazione?
Grazie a Internet! Senza di esso, la pandemia senza Internet sarebbe stata una catastrofe familiare, sociale, economica … molto più grande per tutti. Senza di esso, anche le istituzioni religiose ne avrebbero risentito molto di più. Ma allo stesso tempo, il coronavirus dovrebbe essere un’occasione per fermarci a pensare con calma a come usare Internet molto più saggiamente, un’occasione per misurare i rischi di passare la giornata incollati a uno schermo o la minaccia di un controllo dittatoriale delle nostre vite da parte degli Stati e dei grandi poteri disumani. Lo stesso vale per le istituzioni religiose: molti vescovi usano massicciamente le nuove tecnologie per diffondere lo stesso messaggio “di sempre”, medievale, incomprensibile. Più si diffonde, più negativo è il suo effetto, più cresce la distanza tra il Vangelo e la cultura, più la Chiesa trascura la sua missione profetica nel mondo di oggi. È tempo di un grande discernimento da parte della Chiesa istituzionale.
Come sarà la Chiesa del postcoronavirus? Quali caratteristiche avrà? Quali linee di fondo indicherà? Incideranno le riforme di papa Francesco?
Il coronavirus ci ha dimostrato, ancora una volta, che il futuro è imprevedibile e costituisce un chiaro invito alla cautela anche riguardo al futuro concreto della Chiesa. In ogni caso, questa pandemia potrebbe costituire un segno dei tempi, che chiama la Chiesa a fare un salto in avanti storico in una doppia linea strettamente correlata: un appello, prima di tutto, a convertirsi personalmente e istituzionalmente in Chiesa dei poveri e per i poveri, dando assoluta priorità alle Beatitudini e alla liberazione dei poveri rispetto alla dottrina; un appello, in secondo luogo, a reinventare radicalmente un altro modello non clericale-gerarchico-maschile della Chiesa e, allo stesso tempo, a rinnovare completamente (non solo in linguaggi e forme superficiali) tutta la teologia (credenze, riti, norme …).
La cosa più probabile, mi sembra, è che la Chiesa non sia in grado di rispondere a questa doppia e unica sfida e che, di conseguenza, la distanza tra la Chiesa e il mondo di oggi stia aumentando e la crisi della Chiesa si accentui. Papa Francesco è un profeta mondiale di una Chiesa povera e per i poveri, ma la sua teologia è ancora molto tradizionale. Finché persiste questo squilibrio, la necessaria riforma della Chiesa mi sembra impossibile.
Può continuare a conservare la sua attuale struttura economica, territoriale e funzionale?
La drastica riduzione del numero dei “fedeli” (che credo finirà per estendersi a livello planetario) da un lato, e dall’altro la globalizzazione di Internet richiedono effettivamente che vengano ripensati l’intero funzionamento e l’organizzazione della Chiesa cattolica (parrocchie, diocesi, Vaticano, distinzione tra chierici-laici, esclusione delle donne, sacramenti…). La pesantissima macchina
clericale verticale e centralizzata è insostenibile. Ma non si tratta tanto di “forme di organizzazione”, ma di modello di religione e di Chiesa.
La pandemia ha risvegliato nel laicato la consapevolezza del suo essere “popolo sacerdotale” e, quindi, l’esigenza di assumere ministeri ordinati?
Questa consapevolezza viene da molto prima, però è vero che la pandemia e l’isolamento la acuiscono. E non si tratta del fatto che i “laici” assumano “ministeri ordinati”, ma di superare la distinzione tra laici e chierici (distinzione creata dai chierici) e quindi tra “ministeri ordinati” e “ministeri non ordinati”, come se i primi provenissero da “Cristo” attraverso il suo rappresentante sacro (il vescovo) e i secondi fossero “una mera delega della comunità”. Questo schema non ha più senso. Lo impareremo durante l’isolamento? Un coronavirus non dovrà insegnarci questa nuova teologia?
L’attuale prassi sacramentale, specialmente quella dell’Eucaristia e della penitenza, dovrà essere rivista?
Come possiamo capire il fatto che non possiamo celebrare la memoria sacramentale di Gesù perché non possiamo andare in una chiesa o perché un “prete ordinato” non può venire a casa? Come possiamo continuare a sostenere che non c’è “sacramento eucaristico” (che significa ringraziare per la vita) se non c’è “transustanziazione” del pane e del vino o di quello che sia in “corpo di Cristo”? Allora cosa sono il pane, il vino e tutto ciò che è, se non corpo di Cristo, se sappiamo guardarli con gli occhi del Vangelo? E come possiamo capire il fatto che non siamo perdonati se un prete canonicamente ordinato non ci assolva? Cos’è il peccato se non il danno che facciamo a noi stessi e come curarlo se non versiamo un po’ di unguento gli uni sugli altri, confinati in casa o in strada o nelle istituzioni politiche e nelle leggi del mercato che dovranno essere riviste quando passerà questa pandemia. Se non vogliamo che un’altra pandemia molto peggiore la faccia finita con tutti? Cos’è il perdono se non continuare a prendersi cura della vita e confidare nell’altro? La nostra parola, il nostro sguardo e i nostri gesti quotidiani non devono essere il vero sacramento del perdono reciproco “settanta volte sette” ogni giorno?
__________________________________________________ Intervista pubblicata il 15.04.2020 nel portale Religión Digital (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI
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