Preghiamo! Preghiamo! Preghiamo!
Dentro le mura
È qui che siamo. Tutti dentro le mura, ospiti forzati delle nostre case per il più alto bene comune, la vita: la dobbiamo proteggere da noi stessi, tutti possibili vettori di un virus che troppo spesso non perdona chi non “sa” resistergli. Costretti i nostri corpi a muoversi lungo perimetri brevi e immodificabili, sono libere le nostre menti di spaziare e sondare profondità che raramente frequentiamo, per mancanza di tempo, di silenzi, di piccole solitudini. Voli di cui ci giungono tracciati sotto forma di testi, riflessioni, lettere, e ai quali Adista apre qui un luogo virtuale perché vi facciano nido, fecondino altre menti, portino pensieri, empatie, confidenze. Il nido non ha porte. Depositate qui i vostri pensieri, li metteremo in rete. Scrivete a info@adista.it mettendo in oggetto “Dentro le mura”. Vi attendiamo!
Aldo Antonelli
Inondato da tutti questi richiami ossessivi da parte del papa e dei vescovi e dei semplici fedeli che ne ripetono, via internet, l’eco mi trovo a disagio. E tuttavia tra il silenzio connivente e opportunistico e la denuncia che potrebbe apparire scandalosa e oltraggiosa, preferisco quest’ultima.
Niente da dire, sia chiaro, per il richiamo in sé.
Cosa di più naturale e normale per noi credenti del richiamo alla preghiera, richiamo al quale Gesù stesso ha fatto spesso ricorso?
Sono il contesto e la finalità ad inquinare il discorso e che mi trovano tristemente indignato ed esacerbato. Anche l’articolo di Enzo Bianchi apparso in prima pagina su Avvenire di ieri (25 marzo) mi è sembrato un infantile arrampicarsi sullo specchio…
Il mondo è in standby, ospedalizzato da un virus di cui si sa poco o niente e di cui poco avvertiamo le nostre responsabilità e noi invitati con impellenza a pregare dio che ce ne liberi, come se fosse stato lui a mandarcelo…
Cosa è questa preghiera ridotta a stalking verso questo dio assurdo diventato bestemmia?
Un dio cieco al quale noi dovremmo aprire gli occhi.
Un dio sordo al quale dovremmo ridare noi l’udito.
Un Dio distratto al quale restituire noi la memoria.
Preghiera dei miracoli al rovescio!
Ebbene sia chiaro: io questo dio non lo conosco. Io sono ateo di questo dio, ricettore delle nostre frustrazioni e collettore delle nostre irresponsabilità.
E non riconosco come cristiana la relativa preghiera che gli viene rivolta. Questa specie di nutella spalmata sul pane amaro delle nostre disgrazie bypassando le nostre responsabilità e invocando il “suo” intervento.
Al papa, per altri versi carissimo Francesco, e ai vescovi e ai miei confratelli preti mi permetto di chiedere se noi cristiani dobbiamo essere “fedeli credenti” nel “Bel Messaggio” (Evangelo) di Gesù o se dobbiamo involgarirci nella figura dei pagani fabbricatori di idoli che anche di “Dio” ne fanno un feticcio.
Da loro, da questa amata e odiata chiesa, in quattordici anni di seminario e in oltre cinquanta anni di ministero, ho imparato ad amare un altro Dio. Un Dio che è Lui a porre le domande scomode e che, nella preghiera, dovremmo essere noi ad ascoltare.
Quel Dio che già ad Adamo si rivolge chiamandolo per nome e chiedendogli il perché del nascondimento: «Adamo dove sei?…. Perché ti sei nascosto?». E a Caino grida forte: «Caino, dove sei? Cosa hai fatto?». E’ lo stesso Dio che quando il popolo gli tende le braccia in preghiera, braccia macchiate di sangue, Lui volge lo sguardo dall’altra parte:
«Smettete di presentare offerte inutili,
l’incenso è un abominio per me;
noviluni, sabati, assemblee sacre,
non posso sopportare delitto e solennità.
I vostri noviluni e le vostre feste
io detesto,
sono per me un peso;
sono stanco di sopportarli.
Quando stendete le mani,
io allontano gli occhi da voi.
Anche se moltiplicate le preghiere,
io non ascolto.
Le vostre mani grondano sangue».
(Isaia 1, 13-15)
Ecco: io sono figlio di questo Dio che, come con Adamo, mi caccia fuori dai miei bunker; e che, come con Caino, mi richiama alle mie responsabilità e che, come con Isaia, non sopporta solennità e delitto.
Sono figlio di questo Dio che quando lo prego mi mette in discussione e non mi fa da placebo.
Ancor meno da morfina.
Quale preghiera?
di Aldo Antonelli
«Sono d’accordo con te, ma allora cos’è la preghiera? Avrei bisogno di chiarimenti».
«Condivido tutto. Ma preghiamo per darci coraggio di fronte all’impotenza. Come gli apostoli durante la tempesta: “Signore non ti importa se moriamo?”».
«Vero Aldo… ma il Dio che noi preghiamo è anche quello del conforto e della speranza!».
Sono solo alcune delle risposte che ho letto come tacito invito a precisare le mie critiche e integrarle.
Riconfermando fino alle virgole quanto ho scritto l’altro giorno sulla preghiera, mi pare giusto, sacrosanto e doveroso ricordare che la critica era e rimane una critica all’uso strumentale e all’abuso funzionale del ricorso alla preghiera come ad un toccasana per la soluzione di ogni problema e, in specie, per la cessazione della pandemia Covid19!
Il mio non era e non voleva essere un trattato sulla Preghiera, ma un intervento circostanziato e ben mirato. Ricordiamocelo sempre, quando leggiamo: leggere cercando di intendere sempre all’interno di un contesto, al fine di evitare malintesi, di far dire allo scrivente ciò che lo scrivente non dice e di ascoltare cose mai dette.
Ma torniamo a noi: LA PREGHIERA!
Ma è chiaro: la preghiera è tante cose!
Anzitutto la preghiera è un atto umano. La preghiera è il grido dell’animo ferito, è l’invocazione del sofferente, è l’imprecazione del disperato (sì, anche questo!), è il grido di gioia dell’innamorato, è il respiro di speranza del fiducioso che non si arrende, è l’atto di grazia della persona felicemente realizzata e il gesto di grazie del riconoscente. La preghiera è tutto questo ed altro ancora.
Poi c’è la preghiera “cristiana” che è un mettersi in ascolto di Dio che parla, a parla attraverso mille voci: il grido dei disperati, il bisogno dei non abbienti, il richiamo dei ghiacciai che fondono e delle foreste che bruciano, la violenza gratuita dei satolli, ecc. ecc. Preghiera è ascolto di Dio che ci parla e disponibilità nostra all’azione e a una presenza risolutiva, nella misura delle nostre possibilità, naturalmente.
L’ho già detto e lo ripeto anche qui: le richieste che facciamo nella preghiera sono, per noi cristiani, imperativi per le nostre scelte e i nostri orientamenti.
Prendiamo come punto di riferimento la preghiera che Gesù ci ha insegnato: il Padre Nostro, là dove tutto è all’“imperativo/ottativo” (mi si passi l’espressione): “Venga”, “sia fatta”, “dacci”, “rimetti”… Qui non si descrive una realtà (non c’è l’indicativo), ma ci si apre alla dimensione della possibilità, della creatività, della differenza con il dato di fatto e della responsabilità verso il futuro!
Qui, se ci pensiamo bene, viene fatto appello alla “causalità” del singolo uomo sulla totalità, la possibilità di assunzione e di mutamento del reale. Quando nel «Padre nostro» noi cristiani chiediamo che «venga il regno», non poniamo con ciò la premessa e la promessa di una speranza radicale, di un mutamento fondamentale dell’esistenza?
«Purtroppo, e qui ritorno alla critica con le parole che ci vengono dagli amici del Bairro do Brasil, la nostra preghiera è il contrario di quella insegnataci da Gesù. Noi, infatti, si chiede sempre che sia fatta la nostra volontà. E non ci interessa molto sapere qual è invece la sua. i cui contenuti ce li rivela nella seconda parte: che ci sia pane per tutti, condiviso, che ci si dia reciprocamente il perdono, che non si soccomba nel tempo della prova, che si sia liberati da ogni male. Tutto, rigorosamente, al plurale. Per ricordarci che l’egoismo, materiale e spirituale (il pane, i beni, la salute il lavoro, ma anche la grazia, la santità, la salvezza…) è già e sempre peccato… Pregare, più che invocare qualcosa come dono dall’alto, è, dovrebbe essere, un ripeterci costantemente il desiderio di Dio (per questo Gesù dice che bisogna pregare senza sosta), e assumerlo, farlo nostro, viverlo, lottare per attuarlo».
Se così è, allora, più che un dio che ci ascolta, noi ci troviamo davanti a un Dio che ci interroga!
«La Bibbia – ci ricorda Bruno Maggioni, uno dei maggiori esegeti italiani – non ci parla di un Dio che ci ascolta, quanto piuttosto di un Dio che ci smentisce. Il dio pagano è compiacente, si fa garante dei nostri progetti: lo abbiamo costruito perché puntellasse le nostre costruzioni! Ci ascolta, ci dà ragione, ma proprio per questo ci tradisce e ci smentisce, ci lascia prigionieri delle nostre illusioni. Il Dio cristiano, non esaudisce i nostri desideri e proprio per questo ci libera e ci salva».
Inutile aggiungere che, su questo piano, la linea di demarcazione non è quella (tutta clericale) che passa tra “credenti” e “non-credenti”, ma quella (tutta laica) che passa tra “coscienti” e “incoscienti”!
Buona giornata.
Aldo
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