«DOV’È DIO?»
di Paolo Farinella, prete (23-03-2020 Genova).
Un amico mi ha inviato una e-mail che credo sia di valore universale. La ripropongo con una riflessione. «Egr. Padre Farinella, Sono un lettore saltuario ma interessato dei Suoi scritti. Sull’inserto del Corriere “La Lettura” di ieri 22/03/2020 c’è un interessante intervista a 3 teologi sul tema “Dov’è Dio”? Domanda impellente in questo periodo di pandemia e isolamento. Le risposte dei 3 teologi sono deboli e poco soddisfacenti. Sarei molto interessato a conoscere il Suo pensiero in merito. Ringrazio molto e faccio i migliori auspici. Francesco D. P.» Non ho letto l’inserto «La Lettura» de Il Corriere, ma so che uno dei tre teologi ha risposto: «[Dio] Soffre con noi», che è, potrebbe essere, risposta della teologia interrogata. Alla domanda «Dov’è Dio in tempo di Covid-19?», non so rispondere, quantomeno non accetto la risposta dei tre teologi sulla «Sofferenza di Dio» perché sarebbe la negazione assoluta e totale della teologia tradizionale, secondo la quale se Dio è Dio «non può soffrire, essendo impassibile». La risposta è superficiale, specialmente in questi giorni in cui, Dio si sta usando come «unguento» epidermico, spalmabile su tutto, non avendo altre «risposte adeguate», e non ponendo interrogativi più drammatici che esigono silenzio, profondità e presa di coscienza di una religiosità dell’apparenza. Bisogna essere coerenti: se si accetta il «dio tradizionale» bisogna accettarlo «tutto» e non a pezzi: il dio popolare miracoloso da una parte e il «dio passibile» dall’altra. La teologia tradizionale non ammette una mescolanza di Dio con ciò che accade: è la trascendenza. Devo essere sintetico e peccato che non si possa approfondire. La stessa teologia tradizionale, quella dei miracoli, ammette invece che Dio può permettere anche il male, anche il Covid-19. Non so dove sia Dio in questi tempi; penso che, se c’è, sia dove abitualmente sta, dove cioè non siamo disposti a cercarlo per trovarlo: nell’assenza presente. Dico pure, e convintamente: «se c’è», perché dubito che possa esistere un «dio» come quello in cui comunemente la religione cattolica (mi fermo a quella della mia esperienza personale») dice di credere. Dubito che Dio, «se c’è», sia il dio predicato, contrabbandato della religione comune, quella delle prime comunioni, del catechismo diffuso e finalizzato ai sacramenti e non alla formazione spirituale, delle Messe a orario (!), dei Rosari vocali a macchinetta, delle assoluzioni dei peccati, dell’obbligo festivo, delle candele, delle processioni, del rituale come trionfo di sfarzo a beneficio dei celebranti, naturalmente «a maggior gloria di Dio». Dubito che il «dio che soffre» sia il Padre di Gesù Cristo, venuto a liberare l’umanità da ogni forma religiosa d’interesse consolatorio («Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete Dio, ma in Spirito e Verità»). Dubito che il Dio invocato per avere miracoli interdettivi alla pandemia sia il Dio che dice a Giosuè: «Io sarò con te, come sono stato con Mosè, non ti lascerò e non ti abbandonerò mai» (Gs 1,5). Qui non c’è magia e astrazione, ma il sapore e l’odore del faticoso cammino della storia che bisogna attraversare tutta intera, l’uno accanto all’altra, anche nella paura, nel dolore, nella morte, senza scorciatoie. Nel guidare il popolo dopo l’uscita dall’Egitto, è Dio stesso che sceglie la strada, non la scorciatoia, ma la strada più lunga: «Dio non li condusse per la strada… che è la più corta… Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il mar Rosso» (Es 13,17.18). Non risparmiò alcuna fatica, non fece alcuno sconto perché la vita deve essere percorsa tutta e vissuta con la guida della bussola che è il Vangelo. Dubito che il «dio delle devozioni» sia il Dio che proclama il «Vangelo – per antonomasia, anche filologica – notizia gioiosa» del «regno di Dio», anche in tempo di Coronavirus, previa «metànoia» che superficialmente è tradotta con «conversione», mentre letteralmente è l’esigenza di una «mutazione di pensiero, anzi, di criteri di pensare». Il «regno» di cui parla Gesù non è un misterioso paradiso «dopo la morte», ma più modestamente «un nuovo modo di relazionarsi, qui, adesso e ora, tra le persone, i gruppi e i popoli» ed è questa modalità di «nuovo modo di relazionarsi» che è garantito dal «voi siete “nel” mondo, ma non siete “del” mondo», dove il «del mondo» indica la struttura del pensiero e i criteri di scelta su cui si basa il mondo del possesso, del potere, dell’avidità, dell’esclusione. A tutto ciò si oppone la parola di Dio a Giosuè, confermata dal salmista: «Io sarò sempre con te: tu mi hai preso per mano, con il tuo consiglio mi guiderai e poi mi riceverai nella gloria» (Sal 73/72,23-24). Come conciliare i due opposti, per avere un indizio di risposta alla domanda tremenda: «Dov’è Dio?». Penso che il progetto di soluzione sia ancora fermo ai primi 11 capitoli della Genesi, là dove, nel mitico giardino di Eden sono poste le fondamenta di oggi, di ieri e anche di domani. Non abbiamo lo spazio per una disamina puntuale e letterale di tutto il testo, ma alcune suggestione le possiamo cogliere e cercherò di essere semplice, immediato e senza fronzoli. 1. Gli interrogativi esistenziali. I primi 11 capitoli della Genesi non sono affatto storici, ma teologici, offrono cioè gli strumenti per dare risposte alle domande esistenziali di ogni tempo. Il testo definitivo, come lo possediamo oggi, è del V-IV sec. a.C., dunque è ben stagionato e assodato. A esso si rifà spesso Gesù, ma noi non lo abbiamo mai saputo. Quei capitoli sono un «cappello» alla storia di Abramo che inizia l’avventura d’Israele e prima che essa cominci pongono in fila l’elenco dei problemi mai risolti prima, ma anche dopo. Un florilegio di questi problemi: Perché esiste il mondo? Da dove viene? Perché l’uomo sulla terra? Qual è il rapporto tra terra e umanità? Perché la voglia di onnipotenza dell’uomo? Perché il male nel mondo? Perché il sesso è così forte da superare anche i legami familiari? Perché l’attrazione tra uomo e donna è inevitabile? Perché il sesso diventa violenza e aggressione? Perché la donna è sottomessa all’uomo? Perché l’uomo deve contro la terra che gli si ribella? Perché la donna deve partorire nel dolore? Perché il dolore e la morte degli innocenti? Perché la perversione morale di potere con la poligamia? Perché l’aggressione tra i popoli? Perché i cataclismi, come terremoti, incendi, maremoti, alluvioni? Perché la gelosia e l’invia fino a desiderare la morte degli altri? Perché la morte? E la morte violenta? Nota. Se l’autore/autori biblici vivessero oggi, direbbero tranquillamente anche: Perché il coronavirus? Perché i tumori? Perché le dialisi? Perché l’Ospedale Gaslini è affollato di bambini oncologici? Che male hanno fatto? Perché l’inquinamento? Perché lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento della temperatura terrestre? Perché 2/3 del mondo muore di fame? Perché ci preoccupiamo di 600 morti di Coronavirus e non ci preoccupiamo affatto di 700 bambini che ogni giorno nel mondo muoiono di fame sete? Perché le guerre dei ricchi producono migranti e i migranti sono ripudiati dai ricchi dell’occidente? Perché l’ossessione del benessere di un gruppo che è meno di un terzo dell’umanità deve fare pagare il suo benessere ai due terzi dell’umanità, sottraendo loro il necessario alla sopravvivenza, pur essendo ricchi di materi prime, pregiate e preziose? Perché i popoli ricchi si arricchiscono sempre più con la vendita delle armi, alimentando guerre in tutto il mondo, e poi mandano «missioni cosiddette di pace» per regolarne il traffico? Se qualcuno pensa che queste siano domande fuori posto, è la prova che non conosce affatto la Bibbia, la sua formazione e può passare tranquillamente a leggere un romanzetto di Liala o a fare Settimana Enigmistica. La cosa bella è che quelle domande, dal III millennio a.C. in poi non le faceva solo l’uomo biblico, ma anche l’uomo babilonese, l’uomo assiro, l’uomo filisteo, egiziano, ecc. Solo noi le abbiamo perse per strada, tranne invocare un «dio anonimo», quando scopriamo che la nostra onnipotenza militare, scientifica, religiosa è sconfitta da un miserabile virus invisibile, ma efficacissimo nel destabilizzare ogni certezza e ogni presunzione. 2. L’avvio della risposta è una domanda. A questi leciti interrogativi, l’uomo credente dei millenni prima di Gesù, risponde con un altro interrogativo che si trova in Genesi, capitolo 3 versetti 9-10: «Dio, il Signore, chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. L’uomo rispose… Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto». La domanda di Dio ad Adamo ha senso perché in Genesi 2,15 leggiamo: «Dio, il Signore, prese l’uomo e lo mise nel giardino di Eden per ubbidire la terra e per custodirla» e in Genesi 1,28-31 Dio diede all’uomo e alla donna il ministero di governare la terra, il cielo e il mare i loro abitanti. Non diede il potere di spolparla, ma di ubbidirle, custodirla e governarla. Venendo meno alla propria responsabilità, Adamo ha modificato anche il suo «dove» che non è un semplice avverbio di luogo, ma è la tragica richiesta di consapevolezza della propria prospettiva e del proprio progetto di vita. L’uomo che ha voluto superare il proprio limite «facendosi simile a dio», associandosi alla scaltrezza del serpente (in ebraico “arùm”») si ritrova miseramente nudo (in ebraico: “eròm”): chi pretendeva di essere dio, sperimenta la nudità del proprio limite. 3. Le conseguenze logiche. L’uomo è rimasto senza un «dove», cioè senza una prospettiva oltre se stesso, prigioniero della propria solitudine e del proprio fallimento, da cui scaturiscono una serie di conseguenze logiche che non avranno mai fine: il rifiuto della terra di riconosce l’uomo come suo «signore» (spine e cardi produrrà la terra), lavoro spossante (sudore della fronte), dolore della vita (partorirai nel dolore), fratricidio (Caino e Abele), sprigionamento del male sulla terra (violenza, possesso e potere coercitivo) coinvolgimento dell’universo nella tragedia (diluvio), libertà degli appetiti umani egoistici (poligamia), vendetta elevata alla potenza (Lamec: la vendetta moltiplicata per 7), disfacimento dell’umanità e del suo linguaggio (torre di Babele). 4. «Dov’è Dio in tempo di pandemia?» La risposta della Bibbia è semplice: Dio non c’entra nulla con queste storie perché appartengono al perimetro del «dove sei, uomo?». Dio non permette il male, non lo tollera; ha dato all’uomo il governo della terra, gli strumenti per armonizzarla, l’intelligenza per capirla, la scienza per svilupparla, cioè il progetto universale del «regno di Dio» per creare convivenza, armonia, condivisione. Invece «Ecce homo!», capace di stravolgere ogni cosa, perdendo la propria consistenza e il proprio orizzonte. Avendo perduto il suo «dove», l’uomo è rimasto avvitato su di sé e continua a volere essere smarrito perché si ostina a chiedere ancora, nonostante l’evidenza, «Dov’è Dio?», la domanda più superficiale, più abietta che l’umanità possa concepire perché è il sintomo dell’inconsistenza esistenziale e forse la premessa della sua fine. 5. La domanda «Dov’è Dio?» è fuori posto e non può avere risposta perché non c’è alcun dio che possa rispondere a una domanda falsa. Dio, se c’è, è sempre la VITTIMA SACRIFICALE su cui gli uomini, dopo che hanno manipolato e distrutto tutto con la propria presunzione adamitica, cercano di addossare le responsabilità per passare al nuovo punto dell’ordine del giorno e ricominciare come prima. 6. Non è più possibile, perché alla prossima pandemia, l’umanità ci lascerà le penne con tutte le zampe. Dio è apofatico. È muto, silente, senza parole perché le ha tutte consumate e non può più parlare. Dio ha parlato «una sola volta» perché in lui la «parola» è «fatto» (in ebraico «dabàr» ha il doppio senso di parola e fatto). 7. Il Dio di Gesù. Si aggiunga che il Dio manifestato da Gesù si presenta con una caratteristica sola: «AbbàPapà/Babbo» e sfido qualsiasi babbo a regalare ai suoi figli disgrazie e dolori e malattie e castighi; e sfido i figli a passare il tempo a supplicare il Papà perché si commuova smuovendosi dalla sua perversione di fustigatore della propria carne e del proprio sangue. Noi cattolici non abbiamo il senso di un «dio», ma di un «mostro» che abbiamo creato a nostra misura e somiglianza, inventando anche le cianfrusaglie di quelle che chiamiamo preghiere mentre sono solo «voce nel deserto» perché parole morte e «la polvere delle morte parole vi copre» (Tagore). 8. Se avessimo fede, chiuderemmo le chiese per lutto, piangendo sulla «morte di Dio» (uno in più uno in meno!!!), che abbiamo ancora una volta seppellito sotto una montagna di morti da Coronavirus perché da tempo abbiamo decretato che Dio è superfluo e inutile. Non chiediamo «Dov’è Dio?» perché se Dio c’è, non c’è perché egli è Altro, anzi Tutt’Altro, ma chiediamo più coerentemente «Dove sono io? Dove siamo noi?». Allora, quando avremo risposto, forse avremo l’avventura e la sorpresa di scoprire un «dio nuovo» con le sembianze dell’uomo Gesù che è sempre lì a indicare la strada, la sola possibile: «Metà-noia/capovolgimento del modo di pensare». Scopriremo che la domanda deve essere «Se ci sei, “Chi” sei Dio?»
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